Bando endotermiche – Cingolani: va bene lelettrico, ma è urgente eliminare 12 milioni di auto inquinanti

Il 2035 come deadline per la messa al bando dei motori endotermici è da considerare un successo, considerato che i Paesi non produttori di automobili spingevano per il 2030, se non prima. Tuttavia, l’approccio dell’Europa è stato ideologico, pregiudizievolmente contro l’auto, nel scegliere un’unica tecnologia e chiudere le porte ad altre che avrebbero ridotto l’impronta di CO2 anche del parco circolante. Così, alla vigilia della discussione del Consiglio Ambiente dell’Ue sulla proposta di stop alla vendita di auto con motore endotermico dal 2035, il ministro italiano della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha parlato con Quattroruote dei temi più caldi del momento. E di che cosa l’Italia vorrebbe portare a casa nella prossima fase di negoziati.

Ministro, come la pensa sul voto dell’Europarlamento?
La posizione dell’Italia è allineata a quella dei Paesi costruttori principali, cioè Germania e Francia: per noi che le macchine le facciamo, che abbiamo creato un indotto, un comparto professionale molto ampio, un phase out del motore a combustione troppo anticipato rischia di creare dei danni sociali molto forti. Io ricordo sempre che la transizione ecologica deve essere giusta, ecologia e giustizia sociale non vanno messe in contrapposizione, va trovata una misura sostenibile. Allora, i Paesi costruttori avevano detto che il 2035 si poteva considerare una data sufficientemente lontana, tenuto conto che i Paesi non costruttori spingevano per il 2030. Quindi, dal punto di vista del risultato, il 2035 è in linea con quanto noi avevamo chiesto, anche nel Comitato interministeriale sulla transizione ecologica. E questa è la realpolitik, poi possiamo riflettere su quanto questo 2035 sia un orizzonte effettivamente sostenibile.

Quanto lo è?
Allora, io su questo ho due appunti fondamentali, uno nel merito automotive, l’altro in quello del mercato globale. Quanto al primo, noi Paesi avanzati stiamo spingendo sull’elettrificazione, però dobbiamo aver chiaro che spingere sull’elettrificazione con le tecnologie attuali, batterie al litio e così via, significa di fatto aumentare la nostra dipendenza da altri Paesi e sposta la sovranità tecnologica al di fuori dell’Europa. E poi il mercato italiano ha circa 40 milioni di veicoli circolanti e di questi 12 sono Euro 0, 1, 2, 3 e 4. Allora, va bene la transizione verso la macchina elettrica, ma bisogna essere molto onesti verso i consumatori e gli automobilisti: la cosa più urgente da fare sarebbe togliere di mezzo quei 12 milioni di auto inquinanti. Si fa molto più risultato ambientale rottamando una Euro 1, 2, 3 e prendendo una Euro 6, che cambiando una Euro 6d con una vettura a batteria. Perché dico questa cosa? Perché sappiamo benissimo che se anche avessimo tutti l’auto elettrica, il mix di elettricità con cui ricaricare le batterie verrebbe solo parzialmente da energia rinnovabile: un terzo lo è, ma i restanti due terzi no. Quindi se io ricarico la mia auto elettrica con energia che per due terzi è prodotta bruciando gas o carbone, che questa macchina sia poco inquinante è un po’ tutto da discutere. Certo, lo sarà meno di un vecchio diesel o benzina, ma non è che sia di per sé la soluzione a tutti i problemi. Quindi, da un lato occorre rinnovare l’infrastruttura, cioè la potenza rinnovabile disponibile, e qui noi stiamo facendo uno sforzo enorme, adeguare la rete di colonnine di ricarica, che sono troppo poche. Quindi nel momento in cui adeguo l’offerta di elettricità verde e la sua distribuzione, posso adeguare la domanda di automezzi che la utilizzano. Altrimenti è un po’ un gioco delle parti. Mentre facciamo queste cose, che non sono proprio cose piccole e richiedono miliardi di investimenti, dobbiamo, ripeto, togliere di mezzo le auto più inquinanti, sostituendole anche con endotermiche più recenti, ibride o quant’altro.

Poi c’era una considerazione di mercato, diceva
Sì, la seconda considerazione riguarda il mercato globale: noi in Europa possiamo anche decidere di mettere al bando i motori termici dal 2035, e contiamo pure che, magari non con gli stessi tempi, ma si uniscano pure Stati Uniti, Corea e Giappone, ma restano miliardi di persone in India, in Cina, in Sud America, in Russia che continueranno a comprare e usare auto a combustione interna. Noi stiamo affrontando una sfida epocale, stiamo facendo uno sforzo mostruoso, che metterà in gioco la forza lavoro, e altrove in realtà quelli che fanno il grosso della CO2 non è detto che ci seguano.

Professore, ma non è sorprendente che, mentre l’impalcatura proposta dalla Commissione è stata approvata, non siano passate norme corollarie importanti, come il fondo sociale per il clima, la riforma del mercato delle quote di emissione, la carbon tax sui prodotti d’importazione, cioè la cosiddetta Cbam (Carbon border adjustment mechanism) Sembra quasi un accanimento ideologico verso l’automobile.
Certo l’automobile, lo vedo nelle discussioni, viene assurta a paradigma del mostro inquinatore. Ma proprio per questo io dico: perché non cominciamo a togliere di mezzo quelle più inquinanti e a mitigare il problema? L’auto è un bersaglio facile. Quando entrano in gioco temi economico-finanziari, come appunto il Cbam, lì emergono gli interessi degli Stati e la discussione si fa automaticamente più complessa.

Secondo lei c’è ancora margine di trattativa per modificare questa impalcatura, in sede di trilogo?
Proprio in questi giorni, abbiamo delle riunioni interministeriali Ambiente ed Energia Io intendo ritornare su un punto: ci sta anche che mettiamo l’asticella al 2035, tenuto conto che gli endotermici resteranno sul mercato globale e, tra questo e il comparto dei ricambi, la filiera avrà un po’ di flessibilità, però è per me fondamentale la questione della neutralità tecnologica. Per chi ci legge, significa che io legislatore non mi devo occupare di quale tecnologia si usa, devo fissare degli obiettivi e pretendere che siano raggiunti, ma lascio in qualche modo all’industria di trovare le ricette, in questo caso per decarbonizzare. In questo senso i carburanti sintetici, quelli che vengono dalla rielaborazione dello scarto vegetale, di cui tra l’altro l’Italia è uno dei maggiori produttori al mondo con tecnologie proprietarie, quindi è anche una cosa che ci interessa per la riconversione della filiera petrolifera, ecco ma perché no? Sono carburanti che sono perfettamente compatibili con i motori attuali e con le pompe carburante attuali. Costano di più, è vero, ma possono essere incentivati. Penso, per esempio, a un furgone vecchio, a un camion, per i quali tra l’altro non c’è neppure un’alternativa elettrica significativa, forse un giorno chissà con l’idrogeno Invece, la tecnologia del synthetic fuel è pronta. Per questo avevamo proposto che, anziché il 100%, al 2035 si ponesse l’obiettivo del 90%, così da lasciare una finestra che poteva essere decarbonizzata, mantenendo le vecchie tecnologie, con l’impiego dei carburanti sintetici. Dire no a questa cosa è stata una posizione assolutamente ideologica.

Beh, sì, sui carburanti sintetici mi sembra ci sia stata una chiusura pregiudiziale da parte dell’Europa.
Noi in Italia ci crediamo: abbiamo fatto una norma di recente che inserisce un progressivo aumento della quota di carburante sintetico alla pompa di mezzo milione di tonnellate dall’anno prossimo più centomila tonnellate ogni anno. Chiaro che se l’Europa dice no a priori non soltanto fa del male a sé stessa, ma ci fa anche un danno economico. Abbiamo delle tecnologie che sarebbero efficaci e non le usiamo. Non sto dicendo che i carburanti sintetici siano la soluzione, ma sono uno degli strumenti che possiamo impiegare. Se l’obiettivo è decarbonizzare, dovremmo avere un menu di idee, di tecnologie, il più ampio possibile, e usarle tutte. Il Parlamento europeo ritiene che una sola vada bene. Ma è come se dicessi: delle rinnovabili me ne piace solo una, le altre non le voglio. Sarebbe un errore fatale. Su questo ritornerò, e vediamo.

In una fase come questa, con la crisi energetica, le spinte inflattive ora la BCE ha deciso di alzare i tassi, rendendo quindi più difficile l’accesso al credito ,  non le sembra che puntare su una tecnologia intrinsecamente più costosa non tenga conto delle esigenze del grande pubblico?
Ma guardi, mettiamola in questo modo: un’accelerazione verso sistemi alternativi era anche doverosa, ma avrei voluto vedere meno ideologia. Io ora guido una full hybrid, e mi sono abituato rispettando i limiti a viaggiare in autostrada con consumi di 15-16 km/litro: con una berlina grande, che fino a qualche anno fa erano più da utilitaria Il che dimostra come sviluppare tecnologie porti a dei vantaggi. Oggi punterei sulle plug-in, considerato che i consumi maggiori li facciamo nei percorsi cittadini quotidiani, perciò in una fase di transizione pensare che, nella settimana lavorativa, il chilometraggio di 30-70 km giornaliero lo possa fare in modalità totalmente elettrica grazie a una piccola batteria, ma che nel weekend possa fare grandi percorrenze senza timore di restare per strada a causa di una rete di ricarica non sviluppata, mi sembra un passaggio intermedio, un compromesso, accettabile. Chiaro che con il tempo migliorerà la rete di ricarica, così come la resa delle batterie e il loro costo, e magari cambierà anche la relativa tecnologia con l’uso di meno terre rare Così, si farebbe una transizione ragionevole, senza demonizzare l’intero settore. Da tecnico, la mia posizione è questa.

L’Italia, e lei in prima persona, ha cercato anche di difendere la specificità dei piccoli costruttori della Motor Valley.
Sì, e qui in effetti abbiamo portato a casa un risultato. Quantomeno abbiamo guadagnato tempo. Del resto, il danno di fermare il processo evolutivo di un’eccellenza tecnologica concentrata soprattutto in Italia sarebbe stato enormemente superiore all’ipotetico danno ambientale che deriverebbe dal non concedere a questo comparto una deroga dalle norme generali, considerati il numero relativamente basso di esemplari e i pochi chilometri percorsi da queste auto.