Bentley – Flying Spur Hybrid, lusso alla spina

Ci sono auto che fanno sorgere domande spontanee. Prendiamo le ibride plug-in, per esempio. Perché spendere migliaia di euro in più rispetto a una termica per avere qualche decina di chilometri d’autonomia elettrica? L’unica risposta sensata è la seguente: perché dipende dall’utilizzo che se ne fa. Nella guida di tutti i giorni, nel tratto casa-lavoro, spesso la decina di kWh delle Phev consente di viaggiare senza usare nemmeno una goccia di benzina, per poi utilizzare il termico sulle lunghe tratte e nel weekend. Con benefici per il portafoglio, chiaro, ma anche per l’ambiente. E questo discorso si applica a tutte le categorie, dalle segmento C alle ammiraglie d’altissima gamma come la Bentley Flying Spur Hybrid, nuova punta di diamante dell’offerta elettrificata di Crewe. Qui, però, entra in gioco soprattutto un secondo fattore, quello dell’immagine di ecosostenibilità che alcuni dei facoltosi clienti del marchio vogliono darsi. Per scoprire cosa voglia dire essere un Bentley-owner sono andato in California, tra Beverly Hills e Montecito. Città, quest’ultima, che a molti non dirà nulla, ma che tra i suoi abitanti vanta gente come Adele, Oprah Winfrey, Ellen DeGeneres e gli ex reali britannici Harry e Meghan. Personaggi che una Bentley ibrida potrebbero comprarsela come auto di tutti i giorni, anche con autista.

Nata per chi siede dietro. Già, perché in molti non guideranno la propria ammiraglia da 180 mila euro (l’esemplare che la Bentley mi ha affidato ne costava circa 230 mila), ma si lasceranno trasportare – come ho fatto pure io nell’ultimo tratto del test – nel confort dei sedili posteriori, punto nevralgico di ogni ammiraglia che si rispetti. Totalmente regolabili elettricamente, sono delle vere e proprie poltrone: ti ci siedi e il tuo corpo affonda leggermente nel confort più totale. Puoi anche controllare tantissime funzioni dell’auto con un piccolo tablet posizionato sul tunnel centrale, compresi l’infotainment anteriore e la Flying B, la statuetta con il logo del costruttore integrata sul cofano anteriore, che può essere retratta o esposta e negli States è anche illuminata. Di spazio per testa e gambe ce n’è in abbondanza e volendo si può viaggiare semidistesi, con lo schienale inclinato e il supporto per i piedi rialzato, ma già nella posizione di base il confort è elevatissimo. Anche grazie alla particolare silenziosità di questa versione ibrida: scendendo dalla V8 e salendo sulla plug-in si avverte subito la differenza, anche con il V6 acceso. Motore, quest’ultimo, che da un certo punto di vista è un ritorno alle origini: la prima Flying Spur, la S1 degli anni Cinquanta che vedete qui sotto, era spinta da un sei cilindri in linea di 4.9 litri con cambio automatico a quattro marce.

Più scattante che mai. Nel cofano anteriore, infatti, non è presente né il classico W12, né l’otto cilindri da 550 CV introdotto lo scorso anno, ma una versione modificata del 2.894 biturbo usato su modelli come le Audi RS4 e Porsche Panamera 4 E-Hybrid. Questa è la differenza principale tra la Bentayga Hybrid, ormai sul mercato da quasi quattro anni, e la Flying Spur alla spina, che può contare anche su una maggiore potenza: 544 CV e 750 Nm contro i 449 CV e 700 Nm della Suv. L’unità a benzina a ciclo Miller concorre per 416 CV e 550 Nm, mentre dall’elettrico arrivano 136 CV e 400 Nm (la batteria è da 18 kWh e si ricarica in due ore e mezza con un sistema a 7 kW). Il risultato sono prestazioni degne di una sportiva: 0-100 km/h in 4,3 secondi e 285 km/h di velocità massima. E con l’erogazione istantanea dell’elettrico il tutto è ulteriormente amplificato, soprattutto nelle partenze da fermo dove le oltre due tonnellate e mezzo di metallo britannico scattano in avanti con grande prontezza, tornando a farsi sentire quando si cerca spingere nel misto, ambito in cui l’ibrida risulta immancabilmente meno agile rispetto alla più leggera sorella a otto cilindri. Ma la Flying Spur non è da guidare così, il suo acceleratore non è da violentare in uscita di curva anche se la tenuta è più che buona e, nonostante il peso, l’ammiraglia si lascia guidare con estrema facilità anche alle andature più elevate e lo sterzo è da usare con dolcezza. Il comando è gradevole e anche abbastanza preciso, ma vista l’impostazione dell’auto non brilla di certo per rapidità. L’assetto, immancabilmente di tipo adattivo con sospensioni pneumatiche, sostiene bene l’auto in curva, riducendo al minimo il rollio, ma isolando molto bene da tutte le sconnessioni stradali, anche con gli enormi cerchi da 22 disponibili a richiesta.

Cura maniacale. Il confort, infatti è la vera raison d’tre di questa Bentley. Tutto è fatto per garantire la massima comodità, dall’infotainment – semplice, ben organizzato e con uno schermo rotativo capace di rubare la scena alla posizione di guida passando per i folti tappetini, l’insonorizzazione dell’abitacolo (con vetri doppi per i finestrini) e il posizionamento dei vari pulsanti. Se proprio si vuole cercare il pelo nell’uovo il climatizzatore non è dei più intuitivi: per regolare la temperatura e la velocità delle ventole si usa la stessa manopola e mentre si guida non è semplicissimo capire quale dei due parametri si sta modificando. Poi ci sono le portiere: ampie e per nulla pesanti, hanno un’apertura un po’ bassa che porta i più alti a dover abbassare la testa mentre si entra nell’abitacolo. Dettagli minimi, certo, ma che su un’auto di questa caratura potrebbero essere notati dai clienti più esigenti. Che potrebbero però apprezzare le mille altre cose che questa Bentley ha da offrire, prima di tutte l’autonomia elettrica di 40 km che, secondo la Casa, garantirebbe all’80% dei clienti di non dover mai accendere il (comunque silenziosissimo) V6 nel tratto casa-lavoro. Il che, dal punto di vista ambientale, sarebbe anche una buona cosa, ma bisogna comunque pensare che utilizzandola in modalità ibrida (dunque a batteria scarica), e percorrendo qualche centinaia di chilometri i consumi sono elevati: dopo 127 miglia di guida, senza strapazzarla tra highway e percorsi collinari, il quadro strumenti del mio esemplare segnava (ottimisticamente) 5,9 mi/kWh e 25,5 mpg (9,5 km/kWh e 10,8 km/l). Dati che economicamente non impensieriranno i futuri proprietari, ma che potrebbero far aggrottare le sopracciglia ai clienti più green.

Su misura. A differenziare l’elettrificata dalle versioni a otto e dodici cilindri sono solo due dettagli: i piccoli loghi Hybrid dietro ai passaruota e lo sportello per la ricarica sul lato opposto del bocchettone del serbatoio. Dal punto di vista estetico, infatti, questa plug-in non stravolge l’impostazione del modello originale. I clienti continuano ad avere a disposizione (letteralmente) miliardi di combinazioni tra colori, optional, rivestimenti e finiture, proprio come sulle altre Flying Spur. Prendo come esempio l’esemplare che ho guidato in California, citando i principali optional, tutti a quattro (o cinque) cifre: per l’allestimento Mulliner Driving Specification con dettagli Dark Grey e cerchi da 22 pollici servono 15.220 euro, per le finiture Flying Spur Blackline Specification altri 3.625, per il pacchetto Styling con dettagli di carbonio 9.185 euro, per il Touring (con head up display a colori, Adas aggiuntivi e Night vision) 6.480 euro e per l’illuminazione interna 1.945 euro. Se si vuole il massimo bisogna poi aggiungere l’impianto audio Naim da 2.200 watt e 19 speaker da 6.730 euro e l’immancabile display rotativo da 4.870 euro. Perché va bene viaggiare a elettroni, ma bisogna comunque farlo con stile.