Car [and the] City – Mazzoncini (A2A): “Le grandi città saranno sempre più chiuse alle auto”
La decarbonizzazione non passerà soltanto per l’elettrificazione delle auto, ma anche dai carburanti sintetici e dall’idrogeno. Detto questo, il destino dei veicoli nelle città pare segnato: saranno luoghi sempre più off-limits per le vetture di proprietà. Ne è convinto Renato Mazzoncini, attuale amministratore delegato della Life Company A2A e professore al Politecnico di Milano per il corso “Mobility- Infrastructures and Services”. Mazzoncini, dal 2015 al 2018 numero uno del gruppo Ferrovie dello Stato, è autore del libro “Inversione a E” (edito da Egea), un compendio sulle prossime grandi trasformazioni della mobilità nell’ottica della sostenibilità ambientale. Quattroruote ha intervistato il top manager durante una tappa del tour di presentazione, per chiedergli di darci la sua visione sul futuro dell’auto soprattutto all’interno degli agglomerati urbani.
Ingegner Mazzoncini, nel suo libro delinea un quadro di forte cambiamento per la mobilità individuale e per il mondo dei trasporti. Quali pensa siano le principali direttrici di tale trasformazione?
In questo momento, il filo conduttore è legato al tema della decarbonizzazione. Il problema dei cambiamenti climatici è diventato un’emergenza mondiale e ogni settore deve fare la sua parte: come lo dovranno fare le acciaierie o i cementifici, lo dovrà fare anche la mobilità, che oggi è responsabile di un quarto della produzione di CO2 del pianeta. Parlo di mobilità nel suo complesso, quindi dagli aerei fino alle biciclette elettriche. Le direttrici per la decarbonizzazione sono sostanzialmente tre. Una è l’elettrificazione: il passaggio dai motori endotermici ai propulsori elettrici e lo sviluppo delle batterie e delle infrastrutture di ricarica. La seconda riguarda tutta la parte dell’Internet of Things, dei sistemi a guida autonoma e tutto ciò che comprende la trasformazione dell’auto in piattaforme digitali e che abilitino il concetto di “mobility-as-a-service”. La terza coinvolge le molecole decarbonizzate: idrogeno, biometano e carburanti sintetici. La mia stima, sulla base delle previsioni di istituti di ricerca globali, è che il 41% della decarbonizzazione arriverà dall’elettrificazione dei veicoli leggeri, il 26% da carburanti sintetici e idrogeno, il 6% dai biocarburanti e la restante parte recuperato dalla maggior efficienza, dall’IoT e dalla sharing mobility. A tal proposito c’è uno studio interessante del Mit secondo cui delle 290 mila auto che entrano ogni giorno a Manhattan ne basterebbero la metà per garantire gli stessi spostamenti se fosse ottimizzato il loro uso tramite guida autonoma o car sharing. Ciò vuol dire che la decarbonizzazione non passa solo da un cambio di carburanti, ma pure da un’auto che diventa un oggetto completamente diverso.
Lo sviluppo delle città nell’era moderna è stato fortemente influenzato dall’automobile. A suo avviso, come saranno le città del futuro? Le auto avranno ancora un ruolo rilevante?
Noi siamo un po’ condizionati dall’essere in Italia, un Paese con una filiera molto importante e senza grandi metropoli. Abbiamo Roma, Milano, Torino, Napoli ma sono piccole a confronto di altre realtà come Parigi e Londra. Tuttavia, guardando a Milano, ci sono state iniziative pubbliche come l’Area B o l’Area C grazie alle quali circa 50% degli spostamenti avviene tramite mezzi o servizi pubblici, contro una media del 20%. Guardiamo a cosa è successo a Londra con la ‘congestion charge’: oggi possedere un’auto è veramente un lusso e ben oltre il 50% degli spostamenti avviene con mezzi collettivi. Nel momento in cui i macro trend ci dicono che andiamo verso un’urbanizzazione in cui entro il 2050 il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città, sarà impossibile che ognuno abbia un’auto. Certamente l’auto non sparirà: è il mezzo perfetto per esigenze di spostamento da una a cinque persone, ossia quando c’è un buon livello di occupazione. Quello che non può più funzionare nelle città è il tasso di 1,1 passeggeri per automobile perché implica importanti livelli di congestione. Quindi l’automobile è ancora perfetta per tragitti suburbani mentre per la lunga percorrenza ci sono già stati spostamenti importanti verso il treno: l’alta velocità e gli aerei low cost hanno già soppiantato l’auto per questo tipo di esigenze.
Restringendo il campo alle sole città, si andrà verso una mobilità elettrica al 100% o ci saranno delle alternative?
Certamente i primi luoghi dove saranno elettrificate le auto saranno le città perché la concentrazione di inquinamento è il problema principale. Ritengo che le città saranno sempre più chiuse, con provvedimenti di carattere amministrativo, all’uso dell’auto e verranno favoriti i veicoli a bassa emissione. Sta già succedendo.
Ritiene possibile modificare l’attuale approccio dei cittadini all’uso dell’auto?
Dipende da dove abitano. In centro a Milano, credo sia più saggio utilizzare l’auto in sharing per eventuali spostamenti. In città di medie dimensioni, ossia le classiche città italiane da 100 mila abitanti, o in ambito suburbano direi che l’uso dell’auto sarà ancora prevalente.
Che ruolo dovranno assumere i politici nazionali e gli amministratori locali nell’accompagnare la transizione?
Partiamo da un presupposto: il peso dell’industria dell’auto. Vale il 7% del Pil europeo e in Italia ha ancora un ruolo rilevante perché nonostante la produzione sia molto calata negli ultimi anni la filiera è forte e, soprattutto, agganciata all’industria tedesca. Credo che, al momento, il livello di incertezza sia molto penalizzante per questo comparto. Sono convinto che i decisori politici debbano adottare scelte definitivamente chiare che consentano all’industria dell’auto di prendere decisioni conseguenti. Non si può ovviamente pretendere che sia l’industria a decidere come viene pianificato il funzionamento del nostro pianeta e ha ragione a chiedere delle certezze. Guardiamo al caso degli incentivi: durano tre mesi e poi non si sa se vengono rifinanziati. ovvio che in tale contesto la gente non compra e quando questo succede si hanno periodi di crollo della domanda pazzeschi con una discontinuità incredibile per tutta la filiera e gli occupati.
Quindi, per utilizzare uno slogan, “meno incentivi e più politiche industriali”?
Le industrie per fare delle strategie hanno bisogno di un quadro regolatorio di riferimento definitivamente stabile e chiaro. La mia personale opinione è che sia inevitabile immaginare la fine del motore endotermico per arrivare alla decarbonizzazione. Occorre, però, iniziare un periodo di transizione definito: possiamo discutere o meno se sia corretto il 2035 indicato dalla Commissione europea, ma deve essere fissato in modo chiaro e certo, devono essere definiti i vari step per consentire all’industria di organizzarsi e deve essere anche chiaro che gli step devono essere uguali per tutti.
Lei ha posto un forte accento sul progresso tecnologico e sullo sviluppo di servizi digitali. A suo avviso, la mobilità urbana potrà beneficiarne?
Sicuramente sì. Sta già succedendo. Basti pensare alla guida autonoma. I costruttori sanno che le auto a guida autonoma rispettano i limiti di velocità. Sembra una banalità ma non lo è per niente: il rispetto dei limiti, considerando le abitudini degli automobilistici classici, ha un impatto sulla sicurezza e sul tema energetico. Il consumo di energia aumenta con il cubo della velocità, quindi ogni volta che si sforano i limiti si percorrono gli stessi chilometri ma con un consumo di energia molto maggiore. Se si rispettassero tutti i limiti, probabilmente già oggi vedremmo un abbattimento dell’inquinamento e dei consumi abbastanza significativo.
Ci spiega come è possibile imboccare la strada della decarbonizzazione senza subirne conseguenze devastanti?
Un capitolo del mio libro è dedicato a questo tema importante: si stima che la fine del motore endotermico porti a un calo dell’occupazione di circa il 15%. Non possiamo affrontare la transizione in maniera passiva. Se perdiamo la produzione del motore endotermico e importiamo le batterie, abbiamo perso posti di lavoro. Se chiudiamo la produzione del motore endotermico e importiamo tutta la tecnologia per la digitalizzazione, abbiamo perso lavoro. Dunque, provo a individuare alcune prospettive che, a mio avviso, sono in grado di recuperare in modo più che proporzionale i posti di lavoro e sono legate per esempio a tutta la filiera delle batterie, dalla produzione al riciclo. Ma anche alle infrastrutture di ricarica, alla tecnologia digitale a bordo, alla manutenzione delle infrastrutture stradali necessaria per abilitare la guida autonoma. In Italia, parlando di batterie, servono tre Gigafactory. Dobbiamo farle e dobbiamo anche mettere in piedi una filiera del riciclo. L’Unione europea ha fissato l’obiettivo del riciclo del 70% del litio e del 95% del cobalto e del nichel ma occorre avere gli impianti. Quando avremo gli impianti di riciclo sarà come avere miniere di cobalto e nichel in Italia: è vero che le miniere della materia prima sono in Congo ma si stima che, a regime, l’80% delle materie prime delle batterie debbano arrivare dal riciclo. In Italia siamo dei professionisti del riciclo, l’abbiamo già fatto per la metallurgia: non abbiamo miniere ma siamo l’undicesimo produttore al mondo di acciaio, e così pure per la carta e tante altre filiere. Dunque, bisogna creare le filiere per la riconversione.
La rete italiana di distribuzione dell’energia elettrica è adeguata a sostenere l’arrivo delle auto elettriche?
Non lo è. La rete ha bisogno di essere potenziata. Le auto elettriche richiederanno un 20% in più di energia ma la gente vuole utilizzare anche altri dispositivi d’uso quotidiano come il piano a induzione o le pompe di calore. A Milano, per esempio, abbiamo una potenza complessiva di 1,7 GW e dobbiamo arrivare a 2,7, quindi dobbiamo aumentare del 40%. Ma con A2A/Unareti lo stiamo facendo.
possibile quantificare gli investimenti necessari?
Solo su Milano servono 1,5 miliardi. Non sbagliamo se moltiplichiamo questo dato per 40. Immagino servano tra i 50 e i 60 miliardi di investimenti nelle reti elettriche. In Italia, negli ultimi trent’anni, abbiamo fatto importanti investimenti per affrancarci dal carbone e utilizzare una fonte meno inquinante come il metano. Adesso dobbiamo investire sulle reti elettriche.