GIMS 2024 – Il “soft power” di Ginevra: operazione verità sul ritorno del Salone

Più in basso di così c’è solo da scavare, cantava quello lì. Un verdetto forse addirittura troppo severo per il ritorno in… piccolo stile del Salone di Ginevra nel calendario degli appuntamenti internazionali dell’auto. Ma il dato c’è e si fa di anno in anno più eclatante. ormai un’esigua minoranza quella delle Case che partecipano a questo tipo di manifestazioni e si fa sempre più presto a contare “quelli che vengono”, laddove fino a pochi anni fa l’elenco di gran lunga più breve era l’altro: quello degli assenti.

Mancano tutti (o quasi), tranne i cinesi. La morìa, ce lo ricordiamo bene, s’è fatta elettrocardiogramma piatto proprio a Ginevra, con il pasticciaccio brutto della “non edizione” del 2020, abortita all’ultimo minuto con gli stand già montati, nonostante il Covid ormai galoppante. Adesso, a quattro anni di distanza, la foto di gruppo dei rientranti vede solo uno dei “big” che erano ospiti fissi nel pre-pandemia: la Renault. Per il resto, da questo Salone in formato extra-small, mancano veramente tutti. Fuorché i cinesi.

Più luce per i presenti. Il fatto strano è che si corre ancora, da queste parti, come si correva ai vecchi tempi. Solo che oggi, a differenza del passato, non si deve più scegliere, non ci si deve più dividere tra un lancio e l’altro. Qui la corsa è alla ricerca di un senso, di una conferenza che in un’agenda magrolina si fa presto evento. Peggio per chi non è venuto (dicono che non porti nulla a livello di visibilità), decisamente meglio per chi c’è, che si abbronza alla luce dei riflettori senza dover litigare con il vicino di asciugamano.

I temi. così che, passato lo sconcerto iniziale, cominci a renderti conto che pure qui, in questa edizione dei record negativi (noi, come tutti, speriamo di rivedere presto il Palexpo gonfio di auto), di roba importante ce n’è. Né mancano gli spunti di riflessione. Eccoli, in ordine (non troppo) sparso, dal nostro taccuino elvetico.

De Meo, l’acchiappa-like. Il timoniere di Boulogne-Billancourt è sempre più un fiume in piena. Lo scopriamo guru dei social (sua l’idea del porta-baguette nella nuova Renault 5, diventato immancabilmente virale su Instagram), lo ritroviamo come sempre voce autorevole in questi anni di transizione. Nel suo ruolo di presidente dell’Acea indica la rotta sul 2035 con fare da politico consumato, ponendosi ormai come uno degli interlocutori più affidabili ed equilibrati di Bruxelles (dove a volte sembra essercene davvero bisogno). Nel tempo libero, tira fuori due delle elettriche più promettenti dei prossimi anni, l’ispiratissima R5 (da meno di 25 mila euro) e un profondo aggiornamento della Dacia Spring (più ricca che mai, ma sempre conveniente). Acchiappa-like, meritatamente, pure col Car of the year, conquistato dalla nuova Scenic.

Il circo (serio) della BYD. Dobbiamo parlare dei cinesi. Sì, di nuovo, perché stavolta la carovana degli invasori d’Oriente è arrivata alle nostre porte con appresso tutto l’ambaradan. C’è la BYD con la sua impressionante potenza di fuoco: modelli elettrici (e li conoscevamo), modelli non puramente elettrici (ed è la prima volta) e un marchio di lusso chiamato Yangwang. Che si presenta buttando lì una supercar (la U9) che balla sulle sospensioni e una super-Suv (la U8) che gira su sé stessa e avanza in acqua come un motoscafo (di cui sfiora il cabotaggio: 3.460 kg). Sembra il circo, se non fosse che è una manifestazione di forza tecnologica dannatamente seria. Di quelle che fino a pochi anni fa appartenevano ad altri (leggasi: i tedeschi).

MG3: quella da tenere d’occhio. Vi ricordate quando i grandi capitani dell’industria europea iniziavano ad agitare lo spettro delle piccole cinesi in grado di mettere in crisi le rivali nostrane? Ecco: sono arrivate pure quelle. L’avanguardia, per la precisione, è rappresentata da tale MG3, oggetto da 4,11 metri che, senza andare troppo per il sottile, mette in campo una proposta molto concreta: full hybrid al lancio, termica pura più avanti, promette “listini competitivi” (non si sbilancia al riguardo il direttore marketing Edoardo Gamberini, ma la sua espressione fiduciosa la dice lunga sulle ambizioni) e un equipaggiamento molto ricco (con doppio schermo da 7″ e 10,25″ di serie pure sulla base). Tutte le forme di vita comprese tra Dacia Sandero e Toyota Yaris è bene che stiano in guardia.

Le portabandiera: Pininfarina, Kimera e Totem. Se un alieno atterrasse a Ginevra oggi, penserebbe che nel nostro Paese non facciamo più le macchine (o quasi). Provocazioni politiche a parte, nell’assenza compatta del “made in Italy” dal Gims, spiccano alcune eccezioni. Che raccontano “Italie” dell’auto meno note, ma non per questo meno significative: quella del know-how capace di conquistare importanti commesse straniere (come nel caso della Pininfarina, che ha disegnato la Foxtron Model B per la Foxconn, colosso taiwanese della tecnologia) e quella dell’artigianato di alto livello. “Nicchia”, c’è chi mormora dietro le quinte. Ma nella loro ostinazione di Davide in un mondo di Golia, i vari Betti (Kimera), Quaggio (Totem), e Rubatto (Erreerre Fuoriserie) meritano tutta la nostra stima.

Chi non c’è… ma è come se: il “soft power” di Ginevra. Esaurito l’elenco dei presenti, liquidato in quattro e quattr’otto chi ha lasciato un vuoto pneumatico e basta, vale la pena di soffermarsi in coda su chi invece ha fatto una scelta un po’ a metà. Magari lasciando vedere o intravedere qualche modello, con immagini e teaser variamente intellegibili, proprio in prossimità delle settimane del Salone. sempre meglio conoscerle dal vivo, le auto nuove. Ma non compete a noi giudicare le scelte delle singole Case. Ci viene soltanto da dire che, se l’Europa dell’auto vuole (e deve) mostrarsi più coesa in questa fase di grandi sfide, allora è bene che trovi una linea unitaria anche in occasione dei suoi appuntamenti più importanti. Tanto più se uno di essi conserva ancora il “soft power” per dettarne il calendario dei lanci.