Honda Civic Type R – Hot hatch allorientale: è l’anteriore più veloce di Vairano (non per caso) – VIDEO
qualcosa di palesemente vivo, preciso, ben fatto. E rosso: come il suoi tappetini, quei sedili che non cambiano – nel loro istinto – dal 1997; e la sua R. Che letta dopo Civic e Type significa darsi da fare con la velocità, dietro un posto guida che personalmente (altezza 174 cm) ritengo da standing ovation. Una Honda, insomma, che alla fine è pancia pura, da rivendicare in questi anni amari, sfumati dal retrogusto al sapore di sipario (leggi 2035); anni in cui una Civic Type R – come altre sue colleghe di prestazioni – hanno raggiunto il massimo punto di sviluppo e vien da dispiacersi che tutta questa tecnologia non debba avere ulteriori, scellerate, evoluzioni. Morale: 25 anni dopo la prima generazione della Civic Type R (EK9, 1997: qui la saga), l’ultima evoluzione della hot hatch giapponese è arrivata sulla nostra pista di Vairano staccando un 1’1836: nuovo record tra le anteriori e tre decimi più lenta – per intenderci – dell’ultima release dell’Audi RS3 (che però ha 71 CV extra e la trazione quattro).
SuperCivic. Mi è piaciuta perché dimostra quanto bravi siano dalle parti di Tokyo a fare automobili, per tutte le latitudini emotive. Quando ci sali sopra per la prima volta non riesci ad attribuirle subito il suo valore reale. Perché, complici il turbo e le normative antinquinamento – per esempio – , non romba con rabbia. Ma poi apri le porte dietro, la guardi al netto dei suoi sedili contenitivi e dell’immancabile pomello del cambio di alluminio, e ti accorgi che questa è una Civic con cui potrai fare tutto, nonostante i suoi 329 CV. Infatti l’ottima abitabilità di ogni altra Civic c’è anche qui e dietro trasporti anche per lunghe tratte chi vuoi, già che l’assetto – lo stesso che ti fa vibrare di emozione tra i cordoli inserendo la modalità di guida più sportiva, la R – sa come restituire la cifra del confort. Un’auto, insomma, da godere anche per quel suo grande bagagliaio. In fondo, il fatto che non sia sguaiata, che non risulti mai eccessiva se non davanti al cronometro (che poi qui è ciò che conta), restituisce valori di dignità assoluta (qui tutti i dettagli tecnici).
Dettagli che contano. Cose che mi sono piaciute in particolare? Beh, oltre a tutto quello che ho appena elencato, menzionerei certamente fattura e forme delle bocchette per l’aerazione: sono nascoste da una griglia a mo’ di nido d’ape, da cui emergono gli elementi (tipo joystick) per orientare i flussi. Oltre che per l’eleganza, si apprezzano per qualità. Questa brillante fascia che corre lungo tutta la larghezza della plancia è impreziosita, qui, dalla numerazione progressiva che rende unica ogni Type R.
Esemplare, come al solito, la posizione di guida raccolta (ma con la possibilità di tenere le gambe distese, come piace ai ninjadriver). Il cruscotto digitale è un’altra delle cose che più ho apprezzato (lasciamo fare ai giapponesi queste cose, che le sanno fare: stile e soundesign di accensione e suoni del raggiungimento del fuorigiri sembrano un omaggio alla Polyphony, quelli di Gran Turismo) assieme alla sua desinenza centrale, ovvero l’infotainment, con schermate dedicate alle performance e alle guidate in pista. Roba da nerd dell’auto, qualcosa che avvicina molto quest’oggetto – chissà perché – al mondo del gaming. Mi è piaciuta anche la doppietta automatica: non sono un fan del rev-matching, ma qui il fine tuning è ottimo e in scalata, alle velocità delle azioni di guida a cui riesce a portarti questa Civic Type R, è qualcosa di imperdibile. Molto efficace.
Una perla dopo l’altra. Ho avuto modo di usarla per un bel po’ di tempo nella vita reale. Quindi tangenziale, città, campagna e anche in viaggio. Come ogni Type R che si rispetti, se non la strapazzi nella parte altissima del contagiri rischi di perderti il suo sale. Ragione per cui è bello perdersi, nella quotidianità, soprattutto nella qualità della sua fattura, nei ricordi che suscitano in tutti i petrolhead i suoi colori e i suoi odori oltre che nella manovrabilità del suo cambietto a leva corta. Appena le strade si aprono, la magia del differenziale autobloccante meccanico fa il suo corso e il grip non manca mai, col muso che punta dritto nella direzione dello sguardo e il resto dell’auto che segue ogni azione di guida, ben impostata. Come poche. Non puoi trovare il suo limite su strada, perché se ci riesci significa che stai andando oltre ogni forma di decenza (la nostra prima volta con lei: in Portogallo all’Estoril).
La pista, casa sua. Tra i cordoli invece accade la magia: le sue proprietà si allineano, facendo diventare l’auto uno strumento di precisione capace d’infilarsi in curva in modo eccellente. Non è un’auto che si guida alla francese, per intenderci col posteriore che allarga in ingresso appena porti i pesi sull’anteriore. piuttosto un’auto che va portata dentro la curva al massimo del suo potenziale; puoi farla voltare di sterzo. Le ruote anteriori seguono la curva e sono subito pronte a dare tutto il grip necessario a scaricare a terra i cavalli nel modo più rapido. Ha un retrotreno solido, come si dice, e l’anteriore non perde efficacia anche dopo diversi giri di guida al limite. La frenata è potente e molto ben modulabile. Tutto, a dire il vero, è assai modulabile: è proprio questa caratteristica a permetterle di farti sentire tutta la velocità di cui è capace e lasciare a te la scelta di alzare l’asticella fino al tuo limite possibile. Il suo, credetemi, è molto molto alto.
Addio (o arrivederci?). Insomma: mentre tutti si sperticano a comunicare addii strappalacrime ai motori termici, la Honda (ri)lancia il suo punto di vista sull’anteriore sportiva. Probabilmente definitiva, certamente velocissima. Quasi sicuramente – visto che tutti se la stanno dando a gambe da questo settore – la hot hatch definitiva, destinata a chiudere col botto una tradizione decennale fatta di auto sportive per davvero, nate per ricordare che le auto di tutti i giorni sanno anche incazzarsi.