I dati – Milano e la polemica sull’aria irrespirabile: chi inquina di più?
Dacca, Lahore, Delhi e poi Milano. Cos’ha in comune il capoluogo lombardo con le tre città del subcontinente indiano? Facile, una qualità dell’aria pessima. Secondo l’azienda svizzera IQAir, a gennaio Milano si sarebbe piazzata quarta tra le peggiori città del mondo in termini di Pm2.5, quel particolato fine composto da particelle sotto i 2,5 micrometri che, stando ai dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, solo in Italia nel 2023 ha causato quasi 47 mila morti. La concentrazione di polveri, avvertono dall’azienda, è 27,4 volte il valore guida annuale della qualità dell’aria indicato dall’Oms e i rimedi sono da disastro nucleare: divieto di sport all’aperto, finestre chiuse, mascherine, e dotarsi di un purificatore d’aria (che IQAir produce, detto per inciso).
I dati europei. Ora, IQAir si avvale dell’indice americano Aqi (Air Quality Index) ma la maglia nera della Pianura Padana (e di Milano) è confermata anche da dati europei. “Nel gennaio 2024 ci sono stati più casi in cui questa soglia critica è stata superata”, scrive l’Esa, l’Agenzia spaziale continentale, riferendosi ai limiti stabiliti da Oms e Commissione europea oltre i quali il particolato diventa pericoloso. Grazie alle rilevazioni del Copernicus Atmosphere Monitoring Service European (Cams), il sistema che combina osservazioni satellitari e centraline a terra, Esa nota che “le condizioni geografiche e meteorologiche uniche della Pianura Padana contribuiscono alle alterazioni della qualità dell’aria, incidendo sulla salute dei suoi residenti”. E ancora: “In determinate condizioni meteorologiche, come le inversioni termiche, la valle diventa una conca dove si accumulano inquinanti, tra cui particolato e ossidi di azoto, portando ad elevate concentrazioni di inquinanti atmosferici”.
L’opinione del sindaco. Giuseppe Sala, primo cittadino di Milano, non ci sta: ” la solita analisi estemporanea gestita da un ente privato, non è una cosa seria. Bisognerebbe capire chi fa queste analisi, perché quelle di Arpa dimostrano tutto il contrario”, ha detto il sindaco di Milano. E allora vediamoli i dati di Arpa Lombardia (l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente): il 18 febbraio, il Pm10 a Milano ha avuto una media giornaliera di 118 g/m (microgrammi per metro cubo di aria) quando il valore limite è di 50 per l’Ue e di 45 per l’Oms, con picchi di 136 g/m nella zona di via Senato e 17 giorni di sforamento da inizio 2024 a oggi. Per il Pm2.5, i dati sono fermi al 17 febbraio e indicano una media giornaliera di 76 g/m, tre volte il limite dell’Oms, con il picco di 118 g/m sempre in zona via Senato. Insomma, tanto bene non va.
Tra elettriche e pizzerie. Ma oltre alla conformazione geografica svantaggiata, a cosa sono dovuti questi dati? Secondo l’Inventario emissioni aria (Inemar) di Regione Lombardia (fermo al 2021), il 45% delle polveri sottili della regione deriva dalla combustione di legna e carbone, il 22,5% dal traffico e meno del 7% dall’industria. A Milano, invece, la parte del leone la fa il traffico veicolare con il 44,11%, di cui il 13% causato da diesel (ma, ripetiamo, parliamo del 2021, ancora sotto “l’effetto Covid”), seguito dalla combustione di legna (leggi: le pizzerie) che in città pesa per il 18%. Va detto che nel trasporto su strada non vanno considerati solo gli scarichi. Come abbiamo approfondito su Quattroruote di gennaio, pneumatici, freni e frizioni emettono più Pm10 dei gas di scarico dei motori termici Euro 5 ed Euro 6, chiamando quindi in causa anche i veicoli elettrici (auto, tram, filobus). Oltyre il particolato poi ecco ossidi di azoto (Nox): e qui il traffico a Milano pesa per il 67%, quasi interamente a carico dei diesel.
Il buio oltre Milano. Andando più a fondo, gli studi dell’Ispra mostrano che i responsabili principali del Pm2.5 sono i riscaldamenti degli edifici e gli allevamenti intensivi. Oltre al particolato primario (le polveri sottili emesse dalle auto), l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha studiato anche quello secondario, che si genera dalla trasformazione in atmosfera di sostanze emesse in forma gassosa come ammoniaca, ossidi di azoto e di zolfo. Così, a livello italiano, si vede che i riscaldamenti pesano per il 65,9% del particolato primario e per il 38% di quello secondario; ci sono poi gli allevamenti (1,7% contro 15,1%), l’industria (8,3% contro 11,1%) e, quindi, auto e moto (8,1% contro 9%). Così, nonostante Milano non abbia certo allevamenti intensivi né grandi estenzioni agricole, si scopre che il PM2.5 registrato in città è primario solo per il 31% e secondario per il 69%, e cioè che le auto circolanti “pesano” molto meno di quanto si pensi, o non facciano pensare le amministrazioni. E qui non ci sono blocchi che tengano. Intanto, il P,2.5 primario e secondario emesso dagli allevamenti intensivi continua a crescere: dal 2000 al 2016, per dire, è salito dal 10,2 al 15,1%.