Intervista esclusiva – Giovannini: “Non abbasseremo i limiti in autostrada per ridurre i consumi”

Enrico Giovannini è uno dei ministri più rilevanti del governo Draghi: titolare del dicastero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, è chiamato, insieme con i colleghi che governano Finanze e Ambiente, a gestire questa delicata fase di passaggio verso forme di mobilità più ecocompatibili, proprio nel momento in cui ci si trova ad affrontare una situazione critica dal punto di vista dei forti aumenti del costo dell’energia. Quattroruote ha parlato con il ministro di questi e altri temi, nell’ambito di un’intervista esclusiva che potrete leggere sul numero di maggio: ecco una selezione di quelli più scottanti, a partire dalla ventilata ipotesi di ridurre i limiti di velocità in autostrada per fronteggiare il caro carburanti.

Che cosa pensa dell’ipotesi, circolata di recente, di abbassare i limiti di velocità in autostrada per ridurre i consumi, a fronte dell’aumento del costo dei carburanti? una possibilità che il governo ha preso in considerazione?
il tema proposto recentemente dall’Agenzia internazionale per l’energia. Tuttavia, di fronte all’aumento dei prezzi dei carburanti e, più in generale, proprio dell’energia, i cittadini hanno già messo in atto comportamenti coerenti di riduzione dei consumi. Lo abbiamo visto nel trasporto pubblico locale, le cui associazioni di settore mi hanno segnalato un rimbalzo fortissimo, molto superiore a quello che esse stesse si aspettavano, e nel car sharing, il cui uso negli ultimi mesi è aumentato del 30%. Il sistema sta reagendo coerentemente con la teoria economica e – come ha detto recentemente il presidente del Consiglio, rispondendo a una domanda sull’ipotesi di razionamento – non siamo in una situazione del genere, anche perché i comportamenti dei consumatori e di molte imprese stanno già cambiando e lo stanno facendo rapidamente.

A proposito di consumi di carburanti: nel 2020, la pandemia ha fatto diminuire il gettito fiscale degli oli minerali del 19%. la dimostrazione che, se non si vendono carburanti, le entrate dell’erario precipitano. Come farà lo Stato a finanziare la transizione ecologica e a garantire la manutenzione delle infrastrutture di propria competenza senza i proventi dalla fiscalità sulle auto con motore a combustione? Bisognerà tassare anche le vetture elettriche, come già sta avvenendo in alcuni Stati degli Usa, alle prese con lo stesso problema?
Come saprà, c’è una forte discussione in Parlamento sulla delega fiscale, che prevede l’adozione di nuovi criteri, anche di natura ecologica, per la futura fiscalità. Le risposte arriveranno quando sarà approvata. Adesso è inutile mettere il carro davanti ai buoi, facendo esultare qualcuno o arrabbiare qualcun altro. ovvio che la tassazione di un’economia che va verso la decarbonizzazione non potrà essere la stessa di quella di un’economia che ha vissuto per decenni sui combustibili fossili.

A proposito di quest’ultimi, l’accisa ridotta sul gasolio è considerata uno dei sussidi ambientalmente dannosi. Che cosa succederà al carburante che alimenta una grande parte del circolante e, soprattutto, i veicoli commerciali e industriali?
L’impegno che abbiamo preso a livello europeo con il Next Generation EU e con il Green Deal prevede di azzerare nel tempo i sussidi dannosi per l’ambiente. La direzione è assolutamente tracciata. Come questo verrà declinato in pratica sull’automotive, fa parte dell’attuazione della delega fiscale di cui ho parlato.

Parliamo di incentivi. La sensazione di molti è che la montagna abbia partorito il topolino. Al di là del fatto che sono trascorse parecchie settimane dall’annuncio e che i contributi non sono ancora stati messi a disposizione dei cittadini, all’auto sono stati destinati, nel 2022, soltanto 615 milioni di euro e i bonus dello Stato si sono dimezzati rispetto ad appena qualche mese fa. Non si rischia di azzoppare la transizione?
Premesso che non sono contrario agli incentivi, dobbiamo guardare all’automotive nel suo complesso, quindi non solo alle auto, ma anche a moto, veicoli commerciali e industriali. Stiamo parlando di un investimento di un miliardo di euro all’anno fino al 2030: è una decisione senza precedenti. Per la prima volta, su questo tema è stata adottata una strategia di lungo termine, intervenendo sia dal lato della domanda, sia da quello dell’offerta. Esattamente quello che gli operatori chiedevano da anni e che gli altri Paesi europei già fanno. L’obiettivo è molteplice: consentire alle persone di passare a veicoli più moderni, anche sul piano della sicurezza, e meno inquinanti, ma anche permettere al settore dell’automotive di avere una prospettiva di medio termine utile per aumentare la capacità produttiva in Italia. Ciò premesso, sulle auto abbiamo dato due messaggi molto chiari: per i prossimi tre anni fondi e bonus sono maggiori per le elettriche e per le ibride e minori per le vetture con motori endotermici. Gli stanziamenti hanno tendenze opposte negli anni, crescenti per le prime, decrescenti per le seconde; inoltre, rivedremo i criteri periodicamente, anche sulla base dell’evoluzione tecnologica e del mercato. Quante volte i governi precedenti sono stati rimproverati per avere varato misure a breve termine, senza avere una visione di prospettiva? Tutto ciò a me non pare proprio un topolino.

Però, rispetto al recente passato, i contributi su elettriche e plug-in si sono dimezzati e le imprese sono state escluse
I dati Istat mostrano che, nel 2020, è aumentata la ricchezza delle famiglie, anche a causa dell’impossibilità di spendere per consumi, e delle imprese. Nel 2021, il reddito medio delle famiglie è cresciuto del 3,1% in termini reali. Dunque, in molte famiglie e imprese, ovviamente non in quelle colpite duramente dalla pandemia, c’è maggiore possibilità di comprare un’auto nuova, magari più ecologica. Le indagini demoscopiche mostrano inoltre che c’è maggiore propensione all’acquisto di un’auto elettrica, mentre molte imprese hanno già deciso di passare a flotte elettriche o ibride. Dunque, la situazione è molto diversa rispetto all’anno scorso o a due anni fa.

Resta il problema della ricarica. Senza un’infrastruttura adeguata la transizione sarà lunga. Le persone, per convincersi a fare questo passo, che è anche culturalmente e mentalmente impegnativo, devono avere condizioni al contorno adeguate, quindi poter contare su una rete capillare.
Non c’è dubbio che offerta di ricariche e domanda di autovetture elettriche devono andare insieme. proprio questo lo sforzo che si sta facendo. Il Pnrr prevede 7.500 punti di ricarica rapida in autostrada e 13.755 nei centri urbani, oltre a 100 stazioni di ricarica sperimentali con tecnologie per lo stoccaggio dell’energia. Il tutto entro il 2026, per un investimento di oltre 740 milioni di euro. Tutto deve andare insieme, compresa l’installazione di infrastrutture nei condomini e nei parcheggi aziendali. Quella montagna di cui parlavamo prima non solo non ha partorito un topolino, ma deve far evolvere il sistema nel suo complesso. Il governo ha una visione di medio termine e sarebbe importante che le singole decisioni venissero giudicate rispetto a questa strategia, non solo in base al numero di immatricolazioni due mesi dopo l’arrivo dell’incentivo. Come diceva lei, è anche un problema culturale. Per esempio, l’auto elettrica deve essere considerata come un cellulare, da ricaricare quando non si usa. un cambiamento profondo che ci è richiesto come automobilisti, su cui come ministero stiamo per avviare delle iniziative con alcuni esperti di economia comportamentale: si tratta di un nuovo filone di lavoro, con progetti che spero saranno considerati interessanti, ma che al momento non posso anticipare.

Gli italiani hanno la sensazione che “mobilità sostenibile” sia una formula elegante per edulcorare il disegno di una vera e propria guerra all’auto o per limitare l’uso dell’auto privata. Mezzo di cui la stragrande maggioranza delle persone che non vive nel centro delle città non potrà fare a meno per molto tempo. Come si concilia una visione di prospettiva con questa realtà?
Che le auto resteranno centrali nel nuovo modello di mobilità, non solo in Italia ma anche altrove, è scontato: l’auto non è sostituibile, dati tutti i suoi diversi potenziali utilizzi. Il punto cruciale, però, è che l’impiego dell’auto può essere ottimizzato e integrato nei sistemi di mobilità, uscendo dalla logica del singolo mezzo di trasporto. Questo è sempre più possibile nelle città – ma la nostra speranza è che si riesca ad andare oltre la dimensione urbana – con il concetto di mobilità come servizio. Si tratta della possibilità di andare da un punto A a un punto B servendosi, grazie alle informazioni di piattaforme digitali che suggeriscono le possibili opzioni, di tutti i mezzi disponibili: quella più rapida, meno costosa, più ecologica, con la possibilità di acquistare il biglietto per l’intera tratta con un click. evidente che la propensione a un uso maggiore dei mezzi pubblici o della micromobilità dipende dalla qualità delle alternative ed è proprio lì che il Pnrr fa investimenti senza precedenti. Dopodiché, certamente esiste il tema del collegamento tra le aree più servite e quelle meno servite. Non a caso, nel Piano Nazionale Complementare al Pnrr, così come nel Fondo Sviluppo e Coesione, abbiamo inserito risorse specifiche in favore dei collegamenti con le aree più interne e meno raggiungibili con altri sistemi, come le ferrovie. Insomma, non c’è alcun atteggiamento massimalista o ideologico, però dobbiamo riuscire ad accompagnare e sostenere un cambiamento di mentalità, già forte nelle nuove generazioni, a favore della mobilità sostenibile, un sistema che può essere più vantaggioso per tutti, cittadini e imprese.