Isotta Fraschini – Una lunga storia, dalle auto monumentali ai fallimenti
La storia dell’Isotta Fraschini risale agli inizi del secolo scorso e, precisamente, al 27 gennaio del 1900 quando veniva costituita a Milano la Società milanese d’automobili Isotta Fraschini & Soci, per iniziativa dell’avvocato Cesare Isotta, dei fratelli Vincenzo, Oreste e Antonio Fraschini, di Riccardo Bencetti, Paolo Meda e Ludovico Prinetti. Iniziava così una vicenda destinata a finire prematuramente, ma anche a lasciare un segno importante nella storia dell’automobile (e non solo). Dal primo successo commerciale, ottenuto commercializzando in Italia vetturette della Renault, l’azienda passò all’assemblaggio nel nostro Paese di auto realizzate con componenti di provenienza straniera, così da sfuggire ai dazi doganali imposti alle vetture provenienti dall’estero; il risultato è che, nel giro di tre-quattro anni, l’azienda fu in grado di proporre tre modelli diversi, con motori a 4 cilindri. Con il tempo, prestazioni e potenze crescono: del 1905 è la prima vettura da 100 HP, con propulsore dotato di albero a camme in testa, di due anni dopo la progettazione di un motore 8 cilindri a V da 200 CV. Si delinea così il futuro del marchio, che sarà fatto di modelli potenti, prestigiosi, eleganti e sportivi, costruiti nella nuova sede di via Monterosa; capaci anche di cogliere prestigiose affermazioni sportive, come la vittoria alla Targa Florio del 1908 e quelle in gare americane (a Long Island) che contribuiranno al successo del marchio oltre Oceano.
Anni di gloria. Il più chiaro esempio della monumentalità delle Isotta Fraschini, che frattanto si è data anche alla costruzione di motori per aerei e dirigibili, è dato dalla Tipo 8, prima otto cilindri italiana prodotta in serie, presentata nel 1920: un’auto monumentale, grandiosa, realizzata per oltre un decennio con il contributo dei migliori carrozzieri italiani del tempo, come Castagna, Cesare Sala, Figoni & Falaschi, gli Stabilimenti Farina. L’azienda non produsse mai le proprie carrozzerie, limitandosi al telaio e alla meccanica, ma dalla fantasia degli specialisti uscirono magnifiche berline, convertibili, landaulet, limousine, cabriolet, torpedo, spider, alcune (come la Tipo 8A Flying Star della Touring del ’31, affine, per stile, a una straordinaria Alfa Romeo) persino sorprendenti. Ad amare le Isotta Fraschini furono industriali e attori (Rodolfo Valentino), vip e stelle del cinema (Gloria Swanson), sovrani e pontefici (Papa Pio XI).
Il declino. Tutto questo, però, non bastò a salvare l’azienda, quanto meno nella sua parte automobilistica. L’ultimo sprazzo arrivò dopo la Seconda guerra mondiale, quando, nel 1946-’47, un gruppo di progettisti realizzò la 8C Monterosa, grande cabriolet a pianale portante di lamiera, con sospensioni a quattro ruote indipendenti e motore otto cilindri a V collocato posteriormente. Della vettura vennero realizzati alcuni prototipi, carrozzati dalla Zagato, dalla Boneschi e dalla Touring. Un tentativo vano, tanto che, dagli anni 50, l’azienda, entrata a far parte del gruppo Finmeccanica, si limitò a produrre motori diesel marini e altri dispositivi meccanici industriali. Quanto al marchio automobilistico, la sua storia è stata purtroppo coinvolta, in epoche più recenti, in vicende infelici, approdate anche nelle aule dei tribunali.
Gli anni 90. Dell’Isotta Fraschini, per esempio, si tornò a parlare intorno al 1995, quando Giuliano Malvino, all’epoca proprietario della Fissore di Cherasco (CN), forte della collaborazione con un partner tedesco di cui non rilevava il nome, provò a rilanciare il prestigioso marchio acquisendo a poco prezzo uno stabilimento nella piana di Gioia Tauro e utilizzando i finanziamenti resi disponibili dallo Stato per le iniziative imprenditoriali nel Mezzogiorno. L’auto, una coupé-cabriolet della quale vennero realizzati dei prototipi, avrebbe dovuto utilizzare un motore V8 di 4.2 litri con 350 CV e la trazione integrale, cose che facevano chiaramente pensare a una collaborazione con l’Audi, e adottare una carrozzeria di alluminio, in qualche modo ispirata alla 8C Monterosa, per una produzione prevista in 2.500 unità annue. Un esemplare unico venne preparato per il Salone di Ginevra del ’96, utilizzando la base meccanica dell’A8 d’Ingolstadt: a quel punto, per la produzione di serie (con volumi addirittura raddoppiati) veniva ipotizzata un’altra struttura del Sud, l’ex stabilimento Oto Breda di San Ferdinando, provincia di Reggio Calabria. Come finirono le cose è storia, purtroppo, nota: di auto, tolto l’unico prototipo, non se ne sono mai viste, Giuliano Malvino venne indagato per bancarotta e falso in bilancio, ai lavoratori dello stabilimento di San Ferdinando vennero erogati soltanto dei corsi di formazione, in vista di un’attività mai partita, nonostante l’Isotta Fraschini, finita nel fallimento decretato nel ’99 dal tribunale di Palmi, avesse beneficiato di finanziamenti pubblici per 20 milioni di euro.
Ultimi atti. Un finale amaro, dunque, per un marchio glorioso, poi acquistato nel 20023 all’asta da Gianfranco Castiglioni, già patron della motociclistica Cagiva. Ora arriva un tentativo di rilancio, a opera di un gruppo d’imprenditori lombardi e veneti che ha rilevato, dai vari detentori, tutti i diritti per i marchi esistenti di Isotta Fraschini Milano, con esclusione dunque dell’Isotta Fraschini Motori di Bari, attiva nel campo dei propulsori marini e industriali e facente parte del gruppo Fincantieri. A Saronno (VA), invece, si stanno facendo piani per la grande area in cui l’Isotta Fraschini trasferì parte delle produzioni negli anni 30 e dopo la Seconda guerra mondiale: uno spazio di oltre 120 mila metri quadri, dove centinaia di persone hanno lavorato fino al 1990, anche dopo la fine della produzione delle auto e la fusione con la Breda Motori. Dopo una serie di aste andate deserte, la struttura, dal fascino post-industriale e diventata ormai habitat per flora e fauna anche non autoctone, è stata rilevata dall’imprenditore Giuseppe Gorla, che intende riqualificarla per iniziative culturali, musali e, in parte, abitative.