Lotus Eletre – Dimenticate tutto quello che sapete: arriva la Suv elettrica di Hethel – VIDEO

Sapete qual è il colmo per una Lotus? Essere una Suv. Anzi no, aspettate. Il colmo per una Lotus sarebbe: essere una Suv elettrica. Ecco: per la rubrica sempreverde della realtà che supera la fantasia, l’hanno fatta. Si chiama Eletre e rappresenta il prodotto più inaspettato per la storia e più lontano dalla tradizione del marchio. Ma al contempo ne costituisce un passaggio inevitabile verso un futuro di maggiore respiro e la premessa per una fase nuova, che poco avrà a che spartire con la Lotus che tutti conosciamo. Tranne nelle parole d’ordine. Che rimarranno, ovviamente in senso relativo considerata la tipologia inedita del veicolo, quelle di leggerezza, agilità ed essenzialità.

La Lotus non sarà mai più quella di prima. La Eletre ha il compito non indifferente di portare il marchio verso una nuova era: la Lotus di domani sarà una Casa che produrrà soltanto elettriche ad alte prestazioni. E che intende passare dalle circa 1.600 auto vendute l’anno scorso alle 100 mila preventivate per il 2028, anno in cui la trasformazione e la nuova gamma finanziate dalla proprietà cinese della Geely potranno dirsi complete. Lo dicevamo: è un ribaltone radicale, in confronto al quale la decisione di fare una Suv da parte di Ferrari, Lamborghini o Aston Martin appare quasi fisiologica, nell’ordine naturale delle cose.

Bisognava partire con una sport utility. Per crescere così tanto in così poco tempo, per fare un salto in avanti di diversi ordini di grandezza – e conquistare un pubblico che niente ha a che fare con i die-hard della zingarata al Nürburgring con la Exige – la dirigenza della Lotus ha messo a punto un piano industriale che doveva partire subito fortissimo. Vale a dire con una sport utility da “circa 100 mila sterline”, sicuro passepartout in grado di scardinare tanto il mercato cinese quanto quelli nordamericano ed europeo. A partire dall’anno prossimo, quando verranno avviate le consegne.

Disegnata in Warwickshire, prodotta a Wuhan. E ce le ha le sembianze di una sport utility, la Eletre: non c’è niente di cui vergognarsi, non ci sono acronimi nuovi da coniare, se nelle forme di una crossover riesci comunque a infondere dinamismo e originalità. Lo ha fatto, il Lotus Technology Creative Centre in Warwickshire, sotto la guida di Peter Horbury e Ben Payne, sfruttando proprio le specificità meccaniche del veicolo, che verrà prodotto in una nuovissima fabbrica a Wuhan, in Cina.

Le misure essenziali, vicinissime alla Urus (e c’è il “frunk”). Ne è scaturita una linea estremamente personale, con un primo volume molto corto e un rapporto particolarmente favorevole tra il passo (3,02 metri) e la lunghezza totale (5,10 metri: un centimetro meno della Lamborghini Urus). L’impressione che ne consegue è quella di una silhouette molto affusolata, per quanto l’altezza complessiva sia di 1,63 metri (anche in questo caso, un solo centimetro meno della Urus). Visto che parliamo di “metrature”, diamo anche quelle interne: il bagagliaio misura 400 litri, a cui vanno aggiunti i 77 del vano anteriore, perfetti per riporre il cavo di ricarica.

Sembra bassa, ma dentro… I designer non sono riusciti nell’intento giocando solo sulle misure chiave: a fare la differenza è anche la grande estensione dell’abitacolo. Con il primo montante così avanzato, risulta più basso di quanto non sia davvero. E lo conferma l’abitabilità: “Per i passeggeri posteriori c’è più spazio in altezza rispetto alla BMW iX”, ci ha spiegato Ben Payne.

Porosità. Un secondo tratto distintivo del progetto stilistico è quello che i designer definiscono “porosità”. Significa che la Lotus Eletre è, letteralmente, piena di buchi. Oppure, per dirla con una terminologia più appropriata, che la gestione dei flussi aerodinamici attorno alla carrozzeria è stata oggetto di un’attenzione maniacale, che ha prodotto tutto un sistema di prese, canalizzazioni e sfoghi.

Lo studio aerodinamico del frontale. Partendo da davanti, le più evidenti sono senza dubbio quelle che fanno confluire l’aria al di sotto del musetto a ponte (che mostra chiare parentele stilistiche con le recenti sportive Emira ed Evija) e la accompagnano lungo lo sviluppo del cofano, con la funzione di ridurre la resistenza all’avanzamento e di incrementare di conseguenza l’autonomia e le prestazioni. Che è lo stesso scopo con cui sono stati ricavate le feritoie nella parte anteriore dei passaruota e quelle, corrispondenti, nella porzione posteriore dell’arco, con cui viene alleggerita la pressione generata dalle turbolenze dovute al rotolamento dei pneumatici.

Petali triangolari. Anche la porzione inferiore del muso è ricca di sorprese: si trovano qui, per esempio, i gruppi ottici principali (che sfruttano la tecnologia matrix Led) e la presa d’aria attiva che serve al raffreddamento di motori elettrici, pacco batterie e impianto frenante e che apre e chiude i suoi elementi modulari, una sorta di petali triangolari, a seconda delle esigenze.

Montante posteriore sospeso. Ma è tutto il progetto a nascere sotto le istanze prioritarie dell’aerodinamica: lo si evince da una lunga serie di dettagli. Come lo sfogo d’aria che alleggerisce la sovrapressione generata nell’arco passaruota dal rotolamento degli pneumatici o dal montante posteriore a lama, che è stato fatto così per ottimizzare il flusso d’aria attorno alla carrozzeria in questa porzione della fiancata.

Un supporto, tre telecamere. Un altro elemento interessante è costituito dai supporti delle retrocamere (optional) che sostituiscono i retrovisori esterni: anche qui le ragioni che ne hanno dettato l’introduzione sono quelle della leggerezza (sono in fibra di carbonio) e della riduzione della superficie frontale. Un’ottimizzazione che ha portato a sfruttare questo stesso supporto per altre due ottiche, quella che guarda verso il basso e che serve a restituire l’immagine a 360 dall’alto nelle manovre di parcheggio e quella rivolta verso il muso e dedicata a raccogliere le immagini per i sistemi di assistenza alla guida.

Due spoiler dietro: uno spezzato, l’altro regolabile. Il tratto più originale della coda è senza dubbio lo spoiler spezzato al di sopra del lunotto: è realizzato in fibra di carbonio e manca della sezione centrale, non essenziale all’irregimentazione dei flussi d’aria e dunque rimossa del tutto. Questa appendice costruisce uno stretto dialogo con quella alla base del lunotto, che è regolabile e assume tre diverse incidenze a seconda della modalità di guida prescelta.

Quattro o cinque posti. Questa ricerca ossessiva della leggerezza è anche alla base della definizione degli interni: disponibile a scelta nelle configurazioni a quattro o cinque posti, l’abitacolo della Eletre adotta materiali di rivestimento che rispondono tutti alla medesima esigenza di riduzione del peso e attenzione alla sostenibilità.

Misto lana e carbonio da economia circolare. Ecco, dunque, che accanto alla microfibra compaiono un inedito misto lana per il rivestimento dei sedili (più leggero del 50% rispetto alla pelle) e soprattutto inserti di un’altrettanto originale fibra di carbonio riciclata, che non ha la classica trama tessuta del Cfrp, ma è realizzata con ritagli ricavati dalla lavorazione e pressati, che ne condividono la leggerezza e la resistenza meccanica, ma che costituiscono un bell’esempio di economia circolare (e sono molto belli da vedere).

UX/UI: anche la luce comunica. Anche il design è stato studiato per sottolineare i concetti di leggerezza ed essenzialità, come risulta evidente dal disegno spezzato della palpebra sulla plancia, che riecheggia nella sua fisionomia quello dello spoiler posto al di sopra del lunotto, e che viene ulteriormente evidenziato dalla banda luminosa trasversale sottostante, che svolge anche delle funzioni di informazione. Giocando con l’intensità, il colore e il ritmo della luce, comunica l’arrivo di una telefonata, lo stato di carica della batteria o il cambiamento della temperatura interna.

Due schermi simmetrici alti tre centimetri. In questa zona dell’abitacolo, emerge con evidenza la simmetria assoluta tra i lati guidatore e passeggero. Entrambi, in effetti, dispongono di un medesimo schermo ultra-sottile: i due elementi, alti appena tre centimetri, hanno uno sviluppo orizzontale, e si differenziano unicamente per le informazioni che riportano. Il primo contiene quelle essenziali relative al veicolo e al viaggio, il secondo si focalizza su musica, punti d’interesse e contenuti d’intrattenimento.

Infotainment, head-up, comandi vocali. In mezzo a loro, trova posto lo schermo principale, un Oled da 15,1″ che si reclina quando non è in uso e che dal punto di vista dell’esperienza utente si ispira agli stessi principi di leggerezza che fanno da fil rouge dell’intero progetto: secondo la Lotus il 95% delle funzioni può essere raggiunto con tre tocchi dello schermo. Completano l’interfaccia un head-up display in realtà aumentata, che sarà di serie su tutta la gamma, l’immancabile suite di comandi vocali evoluti e alcuni – sparuti – comandi fisici, inseriti in un’ottica di ridondanza.

Piattaforma Epp: 600 CV, batteria da oltre 100 kWh, 600 km d’autonomia. Lo scheletro di questo decisivo modello della Casa inglese è la Electric Premium Platform, un’architettura completamente inedita di alluminio e acciai ad alta resistenza che farà da base a tutta la futura gamma del marchio, che rimarrà esclusiva della Lotus (non verrà dunque condivisa con altri brand del gruppo Geely, come la Volvo, per capirci) e che prevede la presenza, nel caso della Eletre, di due motori elettrici – uno per asse – per una potenza complessiva di circa 600 CV nella versione di base. Quanto basta per coprire lo 0-100 km/h in meno di 3 secondi e raggiungere una velocità massima di 260 km/h. Ad alimentarli, c’è un pacco batterie da oltre 100 kWh di capacità, che garantisce “circa 600 km” d’autonomia nel ciclo Wltp.

Già pronta per la guida autonoma di livello 4. Piattaforma inedita significa ovviamente anche architettura elettrica e informatica tutta nuova: l’impianto della Eletre lavora a una tensione di 800 volt e consente sviluppi di primo piano come le ricariche ultra-rapide (fino a 350 kW di potenza in corrente continua, per un guadagno di 400 km in 18 minuti) e le funzioni di guida propriamente autonoma. Secondo la Lotus, questo nuovo modello raggiungerà il mercato come una livello 2+, ma l’hardware di cui dispone è già in grado di supportare il livello 4, vale a dire operazioni autonome senza conducente a bordo, come raggiungere il proprietario da un parcheggio vicino dopo l’opportuna “evocazione” via smartphone.

Prima mondiale: quattro Lidar a scomparsa. Queste funzioni potranno essere sbloccate over-the-air – così come altre funzionalità di elevata assistenza alla guida – sui mercati dove sarà consentito dalla legge. A renderle possibili, questo va sottolineato, è una prima mondiale tecnologica: i Lidar a scomparsa. Ce ne sono due nei passaruota anteriori e altrettanti sul tetto, uno sopra il parabrezza e uno in cima al lunotto, e grazie a questa loro proprietà non compromettono la raffinatissima aerodinamica quando non è necessario il loro funzionamento.

Telaio ed elettronica: scelte da sportiva. Ora, passi la guida autonoma, ma trattandosi di una Lotus, anche la Eletre dovrà dimostrare di essere all’altezza del marchio che porta quando la guida è “umana”. E per garantire un handling all’altezza – compatibilmente con i vincoli insormontabili che una carrozzeria rialzata comporta – i tecnici della Casa hanno messo in campo un comparto sospensivo con elementi pneumatici di serie dotati di Continuous damping control e retrotreno su schema multilink full a cinque bracci, che può essere ulteriormente personalizzato a richiesta con altezza regolabile, quattro ruote sterzanti, barra antirollio attiva e torque vectoring. Standard su tutte è invece l’elettronica di controllo delle modalità di guida, che interviene su sterzo, ammortizzazione e risposta dell’acceleratore sulla base di quattro settaggi più uno: Range, Tour, Sport, Off-road e Individual.

Il peso (del marchio). Ma la verità è che l’aspetto dirimente per un comportamento dinamico da Lotus, anche se a ruote alte, è il peso. La Casa per ora parla di un valore di “circa due tonnellate”, che se venisse confermato in fase di omologazione sarebbe comunque un risultato sorprendente, diverse centinaia di chili al di sotto di quello delle concorrenti principali. Che poi è esattamente dove una macchina di Hethel dovrebbe collocarsi. A prescindere dal segmento.