Lotus – L’ultima delle Elise… nel garage di Elisa

Immaginati nel tuo letto, nella tua cameretta, immaginati bambina di dieci anni o giù di lì, immagina di svegliarti un po’ di soprassalto, con la stessa emozione della notte di Natale e correre giù, non davanti all’albero addobbato, ma in garage, accendere la luce e sentire il sangue, fino a un attimo prima torrente impetuoso, che riprende a scorrere placido tra gli argini delle tue vene, mentre il tuo viso si distende in un sorriso. Lei è lì, nessuno l’ha toccata, nessuno te la porta via. Il tuo dono. lì e aspetta, che tu cresca. Eppure, è come se tu avvertissi anche in lei le corde dell’impazienza tendersi nell’attesa. L’attesa dei fatidici diciott’anni, della patente, delle corse in libertà. Fa niente se stai attribuendo sentimenti umani a un oggetto inanimato, a un coacervo di ingranaggi e lamiere, insomma a un’automobile. Le cose che ci accompagnano dall’infanzia assumono sempre una personalità, catalizzando i nostri primi rudimentali affetti. Lo fa un peluche, figuriamoci se non può farlo una macchina. Non un giocattolo, un’auto vera, che possiedi, perché te l’hanno regalata, dall’età di quattro anni. Assieme alla quale sei cresciuta. Vuoi non specchiartici, come negli occhi di una gemella? Tanto più se lei, la macchina, si chiama proprio come te.

La chiusura del cerchio. Va bene, l’abbiamo un po’ romanzata. Ci siamo divertiti con toni un po’ drammatici. Ma alla fine la vicenda vissuta da Elisa Artioli, in base a ciò che lei stessa racconta, non è molto diversa da così. Elisa è la nipote di Romano Artioli, l’imprenditore italiano che negli anni Novanta tentò il rilancio, oltre che della Bugatti, anche della Casa inglese Lotus, acquisita nel 1993, e dunque l’uomo che sta dietro alla nascita della piccola sportscar che per lungo tempo è diventata sinonimo stesso del marchio di Hethel, nella contea di Norfolk: la Elise. Da dove il modello abbia mutuato questo nome quasi tutti lo sanno e se tu, lettore, non lo sapessi, lo hai già capito: proprio da Elisa, che all’epoca del lancio, 1995, aveva poco più di due anni (era nata quando il progetto prese il via). Nel 1997, il nonno Romano le regalò l’esemplare che la giovane Artioli conservò in garage fino alla maggiore età e che possiede ancora. Giovedì 24 febbraio 2022, però, Elisa ha acquistato una seconda Lotus: l’ultima Elise uscita dalla catena di montaggio della fabbrica di Hethel (l’ultima destinata a un cliente privato, ché l’ultima in assoluto è riservata al museo interno). La produzione del modello, infatti, è cessata ufficialmente alla fine del 2021. La prima serie e l’ultimo esemplare, dunque, tutt’e due nelle mani della donna che ha dato a entrambe il nome: il cerchio si chiude. Non è forse una storia perfetta?

La prima auto. Nel 2017, racconta Elisa a Quattroruote, esce questa versione speciale in edizione limitata e livrea dorata, la Cup 260, di cui mi sono innamorata, ma allora non riuscivo a comprarla, quindi mi sono limitata a sognare. Però ho sempre avuto questa idea, che quando mi fossi potuta permettere di acquistare un’auto, avrei comprato una Elise. Perché questa è la prima macchina che compro: la S1 che guido da quando ho compiuto 19 anni, infatti, me la regalò mio nonno. L’occasione si è presentata quando ho saputo che il modello stava per uscire di produzione: ho chiamato la Lotus e ho detto: ‘Vi chiedo una cosa, di avere l’ultima’. Perché il mio sogno sarebbe chiudere questo cerchio, perché per me ovviamente è triste che la tolgano dal mercato. Questa macchina ha avuto un impatto enorme sulla mia vita: dove sono oggi, le cose che ho fatto e che faccio sono state molto influenzate da lei.

Non sono una star. L’esemplare ordinato è dello stesso color oro della serie Cup 260 ed è stata consegnata (simbolicamente, perché verrà spedita in seguito in Italia) alla presenza dell’amministratore delegato della Casa inglese, Matt Windle, e di alcune testate giornalistiche britanniche. Del resto, la Artioli è parte non secondaria della storia del modello e molto nota nel mondo Lotus. Anche se lei tende a sminuire, quando le chiediamo se ai raduni la riconoscono come una star: Penso che quasi tutti i proprietari di Lotus mi riconoscano perché non ci sono tantissime donne che guidano, ai raduni, donne che guidano Lotus ancora meno Ogni tanto, è vero, mi capita di andare a guidare qui nelle mie Dolomiti, sui passi, con la macchina scoperta e sentire gente che urla Ciao Elisaa!’. Mi fa sempre strano, perché io non mi sento affatto un personaggio, mi sento una persona comune, e lo sono. Ai raduni qualcuno mi dice: ‘Sei così con i piedi per terra, ti credevo snob’. Ma in fondo, che motivo avrei di esserlo? Gli inglesi dicono ‘You can’t take credit for it’, cioè non ti puoi prendere il merito. Io non è che abbia fatto qualcosa. Mio nonno ha compiuto questa impresa, lui, il designer Julian Thomson, i progettisti ne hanno il merito. Io sono solo stata fortunata a nascere al momento giusto e al posto giusto e mio nonno mi fatto un grande regalo, battezzando l’auto con il mio nome. Poi, non lo so, può essere che l’abbia presentata’ bene, a quel Salone di Francoforte del 1995.

Le prove sotto il telo. Francoforte, 12 settembre 1995. Quando, alla conferenza stampa del nuovo modello Lotus, il telo si solleva scoprendo la macchina, la sorpresa del pubblico di stampa e addetti ai lavori è grande nel vedere una bimba di circa due anni sul sedile dell’auto, furbata di marketing per attirare ulteriore attenzione su una vettura di per sé molto, molto interessante, per l’ambizione dichiarata di ritornare allo spirito originario, di leggerezza ed essenzialità, del fondatore, Colin Chapman. Sì, mi è stato detto che tutti i giornalisti accorrevano allo stand a vedere questa bambina piccola nella macchina, un po’ stupiti. Nel video girato all’epoca si vede poi che mi alzo in piedi e mostro la maglietta con scritto I am Elise’, con fare orgoglioso, come a volte fanno i bambini anche senza capire il perché, racconta la Artioli. A casa, nelle settimane precedenti, mi mettevano sempre sotto un lenzuolo per abituarmi all’evento, così che non piangessi il giorno della presentazione, durante la quale sarei stata sotto il telo per una manciata di minuti, forse dieci forse di più, prima del reveal. Me lo hanno ovviamente raccontato, però, qualche vago ricordo, qualche immagine mentale, di gioco con un telo in testa tipo fantasma mi sembra di ricordarmelo. Poi magari, a furia di raccontarlo, ti suggestioni e confondi i ricordi diretti con quelli riportati, rievoca Elisa.

Go-kart travestito. Che quella bimba, una volta cresciuta, guidasse una Elise era la naturale continuazione della narrativa iniziata quel giorno di settembre. Così, Romano Artioli ordina una Elise per la nipote, rispettando la rete e le sue priorità, che erano rivolte a soddisfare le alte richieste iniziali del modello. La vettura, una S1 grigio argento, è pronta nel 1997. Elisa ha quattro anni e il suo regalo lo può soltanto guardare. Lo può anche toccare, salirci a bordo, ma non può fare ciò per cui è nato: scioglierne le briglie su una bella strada tortuosa, che sia nelle brughiere inglesi o sullo sfondo dei massicci calcarei delle Dolomiti poco importa. Per tanto tempo, l’Elise è stata lì in garage, io andavo a guardarmela, ma non potevo guidarla. Poi, finalmente, a 19 anni l’ho potuta tirare fuori. E mi è cambiata la vita. Certo, la prima volta avevo una tale paura, perché comunque passare dall’utilitaria guidata come neopatentata a una Elise S1 non era un salto da nulla. Avevo timore di danneggiarla. Però ci ho messo poco a innamorarmi di quella guida sportiva e adesso qualsiasi altra auto mi sembra molto filtrata. La Elise è un go-kart travestito. diretta, precisa, senza filtri. Ti dà emozioni già a bassa velocità, come nessun’altra auto. Sei più coinvolto e sei collegato con la strada. Oggi è diverso: in poche settimane, una volta espletate le pratiche d’immatricolazione, Elisa potrà mettersi al volante della sua nuova Elise ed è ormai una driver più che esperta, tale da non farsi impensierire dal doppio dei cavalli (240 contro i 120 della S1 del 1997, con qualche chilo in più, ma neppure troppi, e lo stesso consueto schema a motore centrale e trazione posteriore).  

Cresciute insieme. Naturalmente ,l’Elise dorata non sostituisce la S1, ma l’affianca. “Non potrei mai venderla, è troppo forte il legame che ho con lei”. Un legame che non passa soltanto per il nome: davvero come se ci fossi cresciuta insieme. Come quando dicono, dei gemelli, che sono in simbiosi, anche se so che, trattandosi di un oggetto, sembra assurdo parlarne in questi termini, quasi fosse una persona Ma poi, c’è il fatto che quest’auto ha avuto un impatto impressionante sulla mia vita, spiega la Artioli. Quando le chiediamo, con un po’ di impertinenza, che cosa faccia, lei risponde Sarei architetto, lasciando subito intendere che se quello è il suo titolo di studio, non è però la sua attività professionale. Sì, faccio un altro mestiere. Lavorando in uno studio mi sono resa conto che mi mancava il mondo delle auto. Quindi, assieme a un socio, ho creato Delightful Driving, che organizza raduni su scala europea, e poi lavoro all’Asi: insomma, sono tra le macchine dalla mattina alla sera.

Nomen omen. Un nome, un’auto, un destino. A ben pensarci, dice Elisa, ci sono poche persone che hanno dato un nome a una macchina la stessa Mercedes alla fine è stato un brand, non un modello. Ma io spesso tendo a dimenticarla questa cosa. Ai raduni capitava che qualcuno mi chiedesse di autografargli la macchina e io mi schermivo: ma chi sono io per fare questa cosa? E loro: ma tu sei la macchina in persona. Però a me questo non importa più di tanto. A me importa andare là fuori e guidare. Dopo anni passati all’estero per studio e lavoro, ho realizzato che il mio posto era vicino alle Dolomiti, le mie montagne. Qui, nel weekend, prendo la macchina e vado a farmi le strade dei passi Questa è la mia passione. Quando prendo ferie, invece che andare a sbattermi su una spiaggia, faccio viaggi in auto.