Luca de Meo – “Elettriche, ormai non si può tornare indietro”
Invertire la rotta? Ormai è troppo tardi. E chi si siede sugli allori sperando in una retromarcia nel 2026 si illude e rischia grosso, perché sull’elettrico “in Europa non si può tornare indietro”. Lo pensa Luca de Meo, presidente e amministratore delegato della Renault che ha condiviso le sue riflessioni sul futuro dell’auto al Salone di Monaco nel corso di una tavola rotonda con la stampa italiana.
Che cosa manca in Europa per il reale sviluppo dell’auto elettrica? Anche Oliver Zipse della BMW è tornato a sottolineare l’assenza di colonnine e di una politica energetica comune.
A parte la Tesla, che è un caso a sé perché ha avuto un certo tipo di visione dall’inizio e l’ha attuata grazie al supporto dei mercati finanziari con delle valorizzazioni incredibili, la competitività dei costruttori cinesi viene da una strategia industriale di lungo periodo, iniziata probabilmente 15 anni fa. Io l’ho vista quando ero in Volkswagen, tra il 2011 e il 2012, quando hanno avuto il sostegno di tutto il sistema, a tutti i livelli e hanno avuto uno sguardo a 360 gradi, dall’approvvigionamento delle materie prime fino alle colonnine. Hanno guardato tutto e hanno cominciato a lavorarci. E questo ha determinato un vantaggio almeno temporale. Noi abbiamo poco tempo per reagire e fare la stessa cosa. chiaro che una parte del lavoro noi da soli, come industria dell’automobile, non lo possiamo fare. In particolare, sulla parte upstream della catena del valore: per esempio, per assicurarti le materie prime devi avere tutta l’industria mineraria. Poi, però, ci sono anche delle implicazioni di geopolitica. Basta guardare a quello che sta succedendo in Africa per il magnesio e per altre materie prime. Questo non lo posso fare io, lo si fa con la politica, con la diplomazia. Inoltre, i cinesi hanno il controllo di buona parte della chimica: hanno in mano l’80-90% di tutti i materiali. Insomma, sono loro che fanno il business. Poi, hanno anche creato una domanda interna e si sono organizzati con la produzione di batterie. Noi europei controlliamo il 5% e ci vogliono tanti investimenti, ci vuole tempo. Tra l’altro bisogna considerare che l’Europa tende a utilizzare le sovvenzioni per finanziare progetti di innovazione e non progetti industriali, al contrario di quanto fanno gli americani e i cinesi. A valle c’è il tema delle infrastrutture e anche in questo campo è difficile fare tutto: c’è una mancanza totale di coordinamento. C’è bisogno di una regia. Terzo tema: io credo che noi paghiamo l’energia in Europa il doppio dei cinesi e da tre a quattro volte gli americani. E per fare una macchina elettrica, soprattutto le batterie, ci vuole molta energia. Insomma, ci sono un sacco di condizioni, ma non abbiamo tanta scelta: tra 12 anni, teoricamente, tutte le macchine saranno elettriche quindi uno che fa il mio lavoro deve trovare il modo per convincere la gente a fare il passo. Non bisogna nemmeno essere tanto pessimisti, nel senso che alla fine i costruttori europei sono comunque delle aziende iperorganizzate. Noi ci lavoriamo, con i cinesi: sono bravi, ma anche noi abbiamo i nostri argomenti.
Tutti gli appelli alla ragionevolezza che arrivano dal settore porteranno a delle conseguenze, a una diversa consapevolezza della politica, a una revisione del Fit for 55?
Il tema di una possibile revisione del phase out è un’arma a doppio taglio. Se pensi che davvero nel 2026, quando ci sarà la verifica programmata, ci possa essere una marcia indietro e ti fermi, hai perso tre anni e sei morto. Se vai in una direzione unica e non hai un piano B, sei morto uguale. Quindi noi lavoriamo sempre con vari scenari. Da una parte siamo convinti di dover diventare competitivi sull’elettrico. Dall’altra ci organizziamo per affrontare possibili modifiche. La verità è che non ci sono indicatori precisi secondo i quali si può definire l’elettrificazione un successo o meno. Come lo misuri l’insuccesso? Dove metti la barra? Al 26%, al 31, al 34? Di certo l’elettrico sta andando più lentamente di quanto tutti si aspettavano. Comunque, immagina che al 30 giugno del 2026 uno arrivi e mi dica Oh, sapete la notizia? Abbiamo scherzato. Ma io ho messo 20 miliardi di euro su questa cosa, che faccio, li prendo e li cancello dal bilancio così? Questa cosa è partita, mettetelo tutti quanti in testa. Quello che diciamo è che il mondo non potrà essere tutto bianco o tutto nero, ci sarà tanto grigio. Per quello parliamo di neutralità tecnologica, di apertura ad altre soluzioni, perché abbiamo bisogno di avere un business che stia in piedi, come d’altro canto hanno fatto i cinesi, che mica hanno vietato i motori termici.
L’attuale 15% dell’Europa come viene valutato?
Sa che cosa ti dicono? Che è al 15%, ma sta crescendo al 75%. Diciamo le cose come stanno: io penso che il mercato delle elettriche stia andando un po’ più lentamente di quello che ci si aspettava. Anche perché non bisogna dimenticare una cosa: nel frattempo, abbiamo subìto migliaia di euro di aumenti di costi legati alla speculazione sulle materie prime. In pratica, sta cambiando tutta l’equazione dell’affare. Immaginiamo che il 30 giugno del 2026 dicano che è stato tutto uno scherzo: io però, ho già messo sul piatto 20 miliardi. Che faccio? Li prendo e li cancello? Questa cosa dell’elettrico è partita, mettetevelo tutti quanti in testa. Il mondo non sarà tutto bianco e nero, ci sarà del grigio, ci saranno delle sfumature. E per questo parliamo di neutralità tecnologica. Perché abbiamo bisogno di un’alternativa, come peraltro hanno fatto i cinesi.
Esiste un partito anti-auto?
C’è un movimento di fondo che vuole che la gente si muova di meno. La domanda che faccio io è: ma a voi interessa un’industria dove lavorano 13 milioni di persone, che rappresenta il 7-8% del Pil europeo e mette 100 miliardi della bilancia dei pagamenti? Vi interessa che il 30% della ricerca e sviluppo privata in Europa sia nel budget delle aziende e dei fornitori del settore? Se togli tutto ciò, noi ci adattiamo: metteremo fabbriche da un’altra parte, i centri di ricerca lontani e via di questo passo. Questo è il tema di fondo.
Cosa succederà con il nuovo Parlamento europeo?
Il problema è che ormai siamo partiti. Abbiamo una strategia dei due forni, ma è chiaro che il pilastro elettrico è una parte molto importante della nostra strategia. Del resto, ha anche un senso il passaggio all’elettrico. Non si tratta solo della questione dell’anidride carbonica, ma anche di quello della qualità dell’aria, un problema soprattutto delle aree densamente popolate. Quello che bisognerebbe fare è far entrare solo macchine elettriche nei centri cittadini: auto piccole, o con batterie piccole. Ed esplorare tutte le soluzioni possibili per ridurre la CO2.
Come si spiega l’arretratezza del mercato italiano sull’elettrico? C’è anche una questione di cultura politica?
Io penso che sia un tema di potere d’acquisto: le macchine elettriche sono care. Poi, ci sono anche problemi di infrastrutture e di prezzi dell’energia.
Quindi non c’è un rifiuto culturale?
Penso di no, ma noi dobbiamo fare delle vetture accessibili. un po’ la storia dell’uovo oggi e della gallina domani: se noi non riusciamo ad aumentare i volumi, non possiamo abbassare i prezzi.
Quindi la segmento B che volete fare è importante anche per il mercato italiano.
Certo. In Italia, il segmento A pesa per un 15% e un altro 25-30% è rappresentato dal segmento B. Quindi è questo quello dobbiamo fare: portare in Italia le Renault 5 e le Renault 4. C’è però un tema di tempi. Tutti quanti pensiamo che le cose si facciano in due minuti, ma questa è una rincorsa lunga.
E la cosiddetta guerra dei prezzi?
un tema complesso, perché alla fine hai come la sensazione che tutto il sistema, compresi i media, ti stia spingendo ad abbassare i prezzi. Ma se i costi non si riducono di pari passo, o non hai la prospettiva di abbassarli in fretta, si rischia di creare le stesse condizioni che a un certo punto hanno portato tutti i costruttori europei a essere in difficoltà dal punto di vista economico. Volete un’industria così o volete un’industria che magari vende qualche macchina in meno, ma è sana? Quando sono arrivato alla Renault, la mia scelta l’ho fatta: la dimostrazione è che oggi guadagno come la Renault non ha mai guadagnato in 125 anni di storia, molto di più rispetto a quando facevo un milione di auto in più. Concorrenti tipo Tesla possono permettersi di aggredire i prezzi, ma io penso che dobbiamo essere coerenti con quello che abbiamo fatto negli ultimi tre anni. E non cadere nella trappola dei ribassi.
I prezzi delle auto tradizionali scenderanno? Sono aumentati tantissimo
Secondo me sì, perché sta tornando la capacità di produzione e quindi la tentazione di fare dei volumi. Adesso tocca a noi. Abbiamo lavorato tanto e nel momento in cui la gente vorrà comprare un’automobile probabilmente passerà dalla Renault. Quindi, sulla carta dovremmo guadagnare quote di mercato.
La soddisfa la capitalizzazione di Borsa?
Penso che siamo molto, molto sottostimati, ma il problema riguarda tutto il comparto.
Come vanno le cose nell’alleanza con la Nissan e la Mitsubishi?
Abbiamo rinegoziato il contratto di matrimonio: è un matrimonio più libero, una coppia più aperta, però ci vogliamo bene e sfruttiamo tutti gli asset che abbiamo creato in 23 anni di onorata collaborazione. Abbiamo dieci progetti in pista, loro metteranno i soldi dentro Ampere (la nuova società nata dallo scorporo delle attività elettriche dal business tradizionale, ndr) e noi abbiamo la libertà di vendere la parte che abbiamo messo in un trust. Tutto quanto sarà ufficializzato a novembre e tutto funziona come previsto. Insomma, abbiamo ottenuto esattamente quello che volevamo e credo anche loro. Quindi, tutti quanti sono contenti e la tensione si è, come dire, abbassata.