Mobilità alternativa – No idrogeno? No “carbon neutrality”

Nel processo che, secondo le previsioni, entro il 2050 dovrebbe portare “carbon neutrality” dell’Unione europea, l’idrogeno ha un posto di rilievo. Può infatti essere utilizzato come combustibile senza che si verifichino emissioni di CO2, oppure può servire per alimentare i veicoli elettrici attraverso le fuel cell, con il vantaggio di tempi di rifornimento paragonabili a quelli del metano (ovvero pochi minuti) e grandi autonomie in rapporto al peso e all’ingombro dei serbatoi, con un tangibile vantaggio rispetto alle attuali batterie al litio.

Come si ricava. Qualunque sia l’impiego dell’idrogeno, va però ricordato che non è una fonte di energia, bensì un vettore energetico; la differenza è sostanziale, perché significa che non è esso stesso in grado di fornire energia, ma che può essere usato per immagazzinarla e utilizzarla in un secondo tempo. L’idrogeno, infatti, è estremamente diffuso, ma solo combinato con altri elementi: per esempio, due atomi di idrogeno e uno di ossigeno formano la molecola dell’acqua e, per separarli, si deve utilizzare energia elettrica in un processo chiamato elettrolisi. Ma non è questo il sistema più diffuso, visto che oggi solo il 5% dell’idrogeno mondiale viene ricavato con tale procedimento. Più di due terzi di questo elemento si ottengono dal metano con un processo chiamato reforming (il cosiddetto “idrogeno blu”), il 16% circa dal petrolio e l’11% dal carbone.

Serve più energia rinnovabile. Dal punto di vista ambientale, però, il modo migliore di produrre l’idrogeno è l’elettrolisi, ma solo impiegando energia elettrica ricavata da fonti rinnovabili, altrimenti sarebbe come ricaricare un’auto a batteria con corrente generata con centrali a carbone: le emissioni di CO2 aumenterebbero parecchio. Meglio ancora: non solo va impiegata l’energia “pulita”, ma il surplus di essa che, in caso contrario, andrebbe sprecato nei momenti di scarsa domanda e alta produzione, come per esempio nelle notti molto ventose.

Scarsa efficienza. Si pone quindi il problema di incrementare sensibilmente la quota di rinnovabili nella produzione di energia elettrica, non solo per alimentare gli elettrolizzatori, ma anche per ricaricare le auto a batteria. E nel confronto con quest’ultime, i critici dell’idrogeno sottolineano come l’utilizzo dell’energia elettrica per produrre l’idrogeno e alimentare così un’auto a celle a combustibile sia sensibilmente meno efficiente dell’uso diretto nelle batterie delle EV. In particolare, partendo da 100 chilowattora, alle ruote ne arrivano solo 23 con le vetture a idrogeno, mentre con quelle a batteria ne restano 69 da utilizzare per la propulsione.

Impatto comparabile. Ciò è vero, ma se si considerano le emissioni di anidride carbonica sull’intero ciclo di vita della vettura (e quindi includendo la produzione dell’auto, quella dell’energia, l’uso e la manutenzione dell’auto e il suo riciclaggio finale), che poi è ciò che conta ai fini della lotta ai cambiamenti climatici, si scopre che quelle a batteria e quelle a idrogeno sostanzialmente si equivalgono. Ciò perché la fabbricazione dell’accumulatore comporta un elevato impatto ambientale, che viene poi recuperato più o meno velocemente nel corso dell’impiego in funzione del tipo di energia impiegata per la ricarica.

Scenari futuri. Nel valutare la convenienza dell’una o dell’altra soluzione vanno anche considerati gli ingenti investimenti necessari per la realizzazione degli elettrolizzatori e della rete di distribuzione dell’idrogeno. Tuttavia, è certo che in futuro una parte dei veicoli elettrici sarà a celle a combustibile, in particolare i camion impiegati sulle lunghe percorrenze e pure alcune vetture: la risposta, tra svariati anni, la darà il mercato.