Trasporti in allarme – Mancano gli autisti, logistica in crisi

Come se non bastassero la crisi dei microchip e quella del trasporto navale a rallentare l’arrivo delle vetture e dei pezzi di ricambio nelle concessionarie e nelle officine, un’altra minaccia grava sul mondo dell’auto: le difficoltà del mondo dell’autotrasporto. La mancanza di autisti di mezzi pesanti, che sembrava riguardare solamente la Gran Bretagna per i problemi insorti con la Brexit, in realtà grava su tutta Europa: e l’Italia non fa eccezione.

Colpa del virus. L’origine delle difficoltà va, inevitabilmente, cercata nella pandemia di Covid-19. L’intera catena della logistica è in difficoltà: la ripresa dell’economia, particolarmente forte in aree come la Cina e gli Stati Uniti, ha rapidamente innalzato la domanda di trasporto delle merci, proprio nel momento in cui nel mondo c’era carenza di container, rimasti fermi in alcuni porti asiatici chiusi per lockdown anche momentanei, e i prezzi dei loro noleggi sono schizzati alle stelle. Ma quando pure una nave arriva in porto, magari dopo qualche giorno di attesa al largo a causa della congestione delle banchine, i problemi non sono ancora risolti: a mancare sono i camion, sui quali i container dovrebbero proseguire il loro viaggio. A fare difetto sono gli autisti dei mezzi pesanti: e già prima della pandemia, si registrava una carenza di driver, dei quali servirebbero migliaia in più solo nel nostro Paese. La situazione era tamponata grazie alla buona disponibilità di personale proveniente dall’Europa dell’Est: polacchi, romeni e bulgari, però, durante i lockdown sono tornati ai loro Paesi d’origine, in gran parte senza fare più ritorno dalle nostre parti. Questo avviene in parte perché anche nelle loro nazioni si è creato un migliore mercato del lavoro, con retribuzioni più elevate che in passato, in parte perché la Gran Bretagna è disposta a pagare stipendi più alti pur di avere un numero maggiore di conducenti. A ciò si sono aggiunte le opportunità derivanti dallo sviluppo della logistica urbana cresciuta con l’esplosione dell’e-commerce e, soprattutto, e i costi elevati che è necessario sostenere per conseguire patente e abilitazioni necessarie per la guida dei mezzi pesanti. Ultimo, ma certamente non meno importante, è però il tema riguardante i vaccini.

Che cosa accadrà? Il 15 ottobre, infatti, entra in vigore per i lavoratori l’obbligo di disporre del green pass, che attesta l’avvenuta vaccinazione contro il Covid (o l’esito negativo di una tampone recente). Il problema, però, è che molti autisti ne sono privi, perché non si sono vaccinati o, se provenienti dai Paesi dell’Est, lo sono stati, ma con Sputnik, il vaccino russo non viene riconosciuto dalle nostre autorità sanitarie. Driver che le nostre aziende non possono utilizzare e che, per aggirare il problema, potrebbero andare a cercare impiego in altri mercati, anche al di fuori dell’UE. Il rischio, dunque, è che la situazione possa peggiorare ulteriormente a partire dai prossimi giorni, creando ulteriori disagi nella distribuzione delle merci. E la preoccupazione, nelle grandi aziende dell’autotrasporto e negli hub della logistica (ché il problema riguarda anche i magazzinieri e le cooperative che forniscono la manodopera), è palpabile.

Il grido d’allarme. A sollecitare l’attenzione sul problema è stata anche l’Anita, l’Associazione nazionale imprese trasporti automobilistici, che, in un comunicato del suo presidente Thomas Baumgartner, ha sottolineato come pur considerando il green pass uno strumento valido e condiviso per tenere sotto controllo la curva del contagio e mettere in sicurezza i cittadini, nella fase di messa a punto del modello organizzativo per il controllo della certificazione siano emerse importanti criticità. Il problema più grave, ha proseguito Baumgartner, riguarda il personale viaggiante, in gran parte di nazionalità estera a causa della cronica mancanza di autisti, che configura il rischio di una fuga di massa di conducenti che, pur di non sottoporti alla vaccinazione o al tampone, hanno già annunciato di voler rientrare nei loro Paesi di origine o trasferirsi in altri Stati europei, dai quali difficilmente rientreranno una volta conclusa l’emergenza sanitaria.