Porsche 911 Dakar – Andavo a cento all’ora (però ero sulle dune)

Sono sessant’anni che se ne va in giro per il mondo a farsi bella della sua fama di “sports car” più iconica di sempre. E lo fa con la stessa consumata disinvoltura in tutte le infinite varianti in cui è stata declinata nel tempo. Inconfondibile come la bottiglia di Coca-Cola di Raymond Loewy, inesorabile eppure inesauribile come la Marilyn di Warhol, la Porsche 911 ha alimentato la sua fama (anche) così: creando attorno alla purezza della sua formula di base un’intera saga di spin-off. Ognuno con la sua spiccata personalità.

Le hanno fatte tutte (?). Pensate alle varie Turbo, Cabrio, Targa, GT3 e GT2 con le rispettive varianti estreme RS, o al recente florilegio di speciali come Sport Classic, Speedster, R. Oppure ancora al moltiplicarsi delle interpretazioni intermedie, ultima delle quali è la GT3 Touring: si direbbe che la 911 abbia esplorato tutte le vie possibili all’automobile sportiva. Ma non è così.

La più esotica. Ancora oggi, a distanza di sei decadi dal suo debutto, rimaneva un sogno da realizzare: quello di una variante completamente esotica rispetto alla tradizione del modello – che si è costruita tutta sul nastro d’asfalto – e di allontanarsene non solo in senso figurato. così che è nata, dopo anni di incubazione, la Porsche 911 Dakar.

Una delle più esclusive. Presentata lo scorso novembre al Salone di Los Angeles, questa eccentrica versione della sportiva tedesca è, prima di tutto, una delle più esclusive dell’attuale gamma 992: verrà prodotta in soli 2.500 esemplari (inizialmente dovevano essere 1.984, a ricordare l’anno della prima vittoria del marchio alla Parigi-Dakar da cui prende il nome, ma l’altissima richiesta del mercato cinese avrebbe spinto a farne qualche centinaio in più) e sarà commercializzata in Italia a 230.990 euro.

Fu la prima con l’integrale. Ma quello che conta ancora di più è il suo valore storico e simbolico. Perché la Dakar si riconnette all’epopea del marchio al rally raid più famoso del mondo. Vinto due volte dalla Porsche: alla prima affermazione ne seguì una seconda nel 1986. Successi quasi oscuri per una Casa che ha fatto di Le Mans, dell’Endurance e delle competizioni GT il suo vero fiore all’occhiello. Ma che in verità avevano in pancia un risvolto tecnico decisivo per l’intera storia della 911: fu proprio lì, sulle macchine sviluppate per quella gara massacrante, che la trazione integrale fece il suo debutto sul modello. Anni prima di arrivare su strada con la 964 Carrera 4.

Otto centimetri in più. Questa connessione con la storia, oltre a essere celebrata da una serie di livree vintage bellissime (la “mia” era una Rallye Design 1978, ma ho bramato con ardore anche la 1971, super minimal e decisamente più da nerd di nicchia rispetto alla Martini), va di pari passo con un intervento tecnico che è tra i più interessanti mai visti su una 911, vale a dire l’introduzione di un assetto completamente nuovo, più alto di 50 millimetri rispetto a una Carrera con le sospensioni sportive e capace di essere rialzato di altri 30 grazie a un sistema (di serie) di sollevamento del telaio. E qui viene il bello.

Fa cose impensabili. Quando ho messo la freccia e deviato dalla strada che mi portava da Errachidia a Erfoud, nel pieno del Marocco sahariano, per imboccare la prima pista di sabbia, l’effetto è stato rapido e scioccante. Questa 911, molto semplicemente, non va come una 911. un’autentica eresia su ruote, in grado di fare delle cose impronunciabili e impensabili per una sportiva con le sue caratteristiche di partenza. E di sovvertire tutto quello che ti aspetti da lei.

Tocca? Sì, ma non si fa male. Sollevando il corpo vettura (il sistema, semplice ma geniale, consiste nell’applicazione al posteriore del dispositivo anti-dissuasore del frontale e porta l’altezza da terra da 161 a 191 millimetri) ti ritrovi con degli angoli caratteristici tipici di una Cayenne: quello d’attacco è di 16, complice l’accorciamento dello sbalzo frontale, e quello di dosso è di 19. Significa che sui saliscendi brevi tipici delle dune più ondulate fai su e giù come con un buggy. Senza correre mai il rischio di spanciare. E anche se tocchi, poco importa: le botte da orbi che ho preso con muso e sottoscocca hanno lasciato tutte le loro tracce sulle protezioni e sulle griglie dei radiatori, ma nessun organo meccanico è stato maltrattato per scrivere queste righe.

Brividi sulle piste veloci. Con l’assetto rialzato inserito, la Dakar è in grado di scorrazzare per queste rapidissime piste che furono mitiche speciali della gara da cui prende il nome fino a una velocità massima di 170 km/h. Valore del tutto teorico, per quello che mi riguarda: posso assicurarvi che passati i 100 ti pare di andare come un ghepardo con i tamburi etnici di sottofondo in un documentario della BBC. Tutto è incredibilmente fisico e vivo: le correzioni continue allo sterzo, il pompaggio delle sospensioni, il nuvolone di polvere che alza la pace car e che non ti fa vedere, ve lo assicuro, a un passo. Radio. “Rallentiamo”. Respiro. Brividi.

La colonna punta a sud. Superata Erfoud, il convoglio stampa punta dritto a sud, verso Merzouga e il confine di stato con l’Algeria, dove si trova l’accampamento in cui trascorreremo la notte. Siamo divisi in tre gruppetti di tre auto ciascuno (una pace car guidata da un collaudatore Porsche, seguita da due equipaggi di giornalisti), a tre minuti di distanza l’uno dall’altro, proprio per evitare l’impedimento visivo generato dalle enormi colonne di polvere.

Sulla sabbia con la modalità Off-road. Dopo le piste compatte e veloci, qui inizia la sabbia vera: abbassiamo la pressione degli pneumatici da 2,2 a 1,3 bar per avere più impronta a terra, inseriamo la modalità di guida Off-road (una delle due sviluppate appositamente per il modello, insieme alla Rallye, che sbilancia l’invio di coppia al posteriore per metterla di traverso) e ci addentriamo guardinghi, anche se con questo settaggio la Dakar dovrebbe dare il massimo della trazione sui fondi difficili.

Quelle Pirelli da paura. Parte delle doti eccezionali di questa 911, e qui vale la pena di aprire un inciso tecnico visto che le abbiamo appena menzionate, vanno ascritte proprio alle sue gomme tassellate. Sviluppate appositamente dalla Pirelli, le Scorpion All-Terrain Plus della Dakar con misura differenziata (19″ davanti e 20″ dietro), garantiscono una trazione letteralmente formidabile sulle dune. Anche quelle più morbide e scoscese.

Sempre sul filo dell’insabbiamento. Su questo terreno le regole del gioco sono semplici. Primo: dare gas il più possibile per evitare di insabbiarsi. Secondo: tenere il motore nel pieno del plateau di coppia massima (i 570 Nm del 3.0 sei cilindri boxer biturbo da 480 CV sono disponibili tra i 2.500 e i 5.000 giri). Terzo: mantenere l’acceleratore costante. Anche a fondo, ma costante. Se sei bravo, esci, letteralmente, da buche ripide come un pozzo e profonde come gli inferi e vieni premiato dallo spettacolo del sole che rispunta ogni volta dal ciglio della duna. Sennò ti insabbi. E io, come tutti gli altri colleghi e una discreta dose dei collaudatori, ho provato entrambe le esperienze.

vera 911? un giocattolo, inizi a pensare, la Dakar. Forse un giocattolo a cui daresti quell’aggettivo di “definitivo” come fai nelle conversazioni da aperitivo con gli amici quando si blatera a caso. Però un po’ è così. Perché dopo averti tirato fuori da situazioni ben oltre il limite del fuoristradistico, ti fa pure il verso alle 911 vere su strada. Ma anche lei, vera, lo è.

Come va su strada. Devo dire che all’inizio ero un po’ scettico, perché qualche mese fa, in un’intervista che aveva rilasciato a Quattroruote, il direttore del progetto, Thomas Krickelberg, aveva detto che su strada la Dakar andava “come una Carrera GTS con le gomme invernali”. Dunque: diciamo che, a livello di feeling l’affermazione è un po’ forte, perché la tassellatura è alta nove millimetri e quindi, prima di tutto, un po’ di deriva quando vai in appoggio c’è. E poi, soprattutto quando la usi in modalità Normal, lo sterzo sconta un certo angolo morto al centro.

Al ‘ring è più veloce della 996 GT3. Ma si tratta davvero di piccolezze, non certo dell’abisso che ti aspetteresti di registrare rispetto a una 911 con l’assetto normale: la Dakar assomiglia intimamente a una Carrera classica per l’equilibrio, per il dinamismo e per il grado di coinvolgimento che riesce a garantire. Roba che percepisci con la pelle, ma che è anche quantificabile con precisione. Sentite qua: con le Scorpion All-Terrain Plus (e non con le Pirelli P Zero optional…), la Dakar ha girato al Nürburgring con un tempo più basso rispetto alla 996 GT3 del 1999.

Il tempo non passa inutilmente. Miracoli? Ma va. che qui c’è tutto il ben di Dio della gestione dinamica Porsche di ultima generazione, dall’asse posteriore sterzante al Pdcc, il sistema di controllo dinamico delle barre antirollio, che è l’elemento determinante nel ridurre i coricamenti trasversali e, di fatto, annullare gli effetti negativi della maggiore altezza da terra.

Il senso della Dakar. Per quanto bene possa andare sull’asfalto, però, quello che ti lascia la Dakar è quello che nessun’altra 911 ti può dare. La possibilità, complice la magica combinazione tra angoli caratteristici da fuoristrada, elettronica super specialistica e gomme tassellate, di portare quel mezzo lì in posti dove finora, in sessant’anni di storia, non era mai stato, se non per gareggiare.

Portatela in Africa. Per questo io ne accentuerei la natura avventurosa: prendetela – o come me, limitatevi a configurarla – con le taniche per l’acqua e il carburante, le pale e le pedane per tirarla fuori dalla sabbia, la tenda telescopica sul tetto con l’oblò per vedere le stelle. tutta roba che vi servirà, se un domani vi dovesse partire il trip di andarci in Africa. Sappiate che, in quel caso, non vi deluderà.