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Transizione ecologica – Il governo è pronto a varare le prime misure di sostegno

I sempre più frequenti appelli provenienti dalle associazioni di rappresentanza della filiera automobilistica e dell’intera industria metalmeccanica, nonché dal mondo sindacale, stanno iniziando a fare breccia all’interno del governo, finora sordo agli allarmi sulla crisi dell’automotive. A Palazzo Chigi, infatti, si è svolto un incontro tra alcuni ministri per discutere delle possibili misure di sostegno e degli interventi prioritari necessari per affrontare la transizione verso la mobilità elettrica evitando pesanti conseguenze sul piano economico e, soprattutto, occupazionale. La riunione si sarebbe rivelata interlocutoria ma avrebbe prodotto già un primo risultato con la decisione di ripristinare gli incentivi all’acquisto di vetture a basse emissioni già nel decreto sul caro-energia atteso per la prossima settimana: da tempo si ipotizza un ammontare di 400/450 milioni di euro. Tuttavia, sul tavolo sarebbe arrivata la proposta di mettere a disposizione, per un anno, fino a 1,5 miliardi per l’acquisto di un veicolo nuovo e la contestuale rottamazione di uno vecchio, ma a condizione di tutelare le fasce più deboli della popolazione tramite erogazioni in base al reddito.  

Le misure allo studio. La riunione, presieduta dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, ha visto la partecipazione dei ministri dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, dell’Economia, Daniele Franco, delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Al centro della discussione ci sarebbero stati non solo gli incentivi, ma anche diversi provvedimenti da inserire in una strategia “condivisa e nazionale ancora tutta da definire nei dettagli (tra una decina di giorni è in programma una nuova riunione). I rappresentanti dell’esecutivo Draghi avrebbero discusso anche di contratti di sviluppo, di fondi per il trasferimento tecnologico e il sostegno alla ricerca e ai programmi Ipcei, di ammortizzatori sociali, di infrastrutture per la mobilità “alla spina” e di progetti come la “gigafactory” prevista a Termoli dal gruppo Stellantis. 

Salvare l’industria delle industrie”. Tanta carne al fuoco, dunque. D’altro canto, non bastano più i soliti incentivi per aiutare il settore, come avvenuto più volte in passato. Ora serve una vera e propria strategia per evitare la scomparsa di quella che è da sempre considerata l’industria delle industrie per il peso economico e le ricadute occupazionali: in Italia, il settore genera un fatturato di 93 miliardi di euro, il 5,6% del Pil, e il solo comparto della fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi impiega 180 mila lavoratori. Nel suo complesso, ossia considerando anche la distribuzioni e altri settori attigui, l’auto vale il 10% dell’intero prodotto interno lordo, ma il suo futuro è messo a rischio dal possibile bando alla vendita di veicoli endotermici per il 2035

Gli appelli. Nelle ultime settimane non sono mancati allarmi drammatici sulle conseguenze dell’addio a tecnologie che rappresentano il cuore pulsante del tessuto industriale dell’automotive. Pochi giorni fa, Federmeccanica, l’associazione di rappresentanza delle imprese della metalmeccanica e della meccatronica, ha unito le forze con i sindacati Fim, Fiom e Uilm lanciando un appello al governo per chiedere non solo un incontro urgente, ma anche, se non soprattutto, misure per salvaguardare e promuovere l’intero comparto da un vero e proprio tsunami occupazionale. Il bando alle endotermiche, senza interventi specifici, rischia di portare alla perdita di 73.000 posti di lavoro, di cui 63.000 nel periodo 2025-2030. E questo vale solo per un indotto che già oggi sta affrontando una grave crisi, come dimostrano le tante vertenze già in corso o annunciate di recente, come quelle della Marelli o della Bosch di Bari, e ancor di più il ricorso agli ammortizzatori sociali: l’utilizzo delle ore di cassa integrazione è passato dai 26 milioni del 2019 ai quasi 60 milioni dell’anno scorso. “Il rischio di deindustrializzazione di un settore chiave dell’economia italiana è concreto, avevano avvertito le parti sociali. Pertanto, come sottolineano quest’ultime, è arrivato il momento di “mettere in campo tutte le azioni difensive necessarie e guardare soprattutto all’opportunità di rilancio e sviluppo del settore.